Il piano economico di Parisi: spendere meno e meglio

La strategia di Mr Chili è ridurre il debito, senza chiedere altra flessibilità alla Ue come vuole il premier

Il piano economico di Parisi: spendere meno e meglio

«Macché maggiore flessibilità. Il problema siamo noi col nostro debito, non la Merkel». Sebbene Parisi taccia, preferendo lavorare in silenzio per preparare la sua kermesse di Milano in settembre, è questo il suo pensiero sull'allarme-Italia. Pil fermo al palo, fari accesi sulla nostra economia da parte dei partner europei e della commissione Ue, Def da rivedere altrimenti si sforano quei maledetti eurovincoli. Non viene smentita la notizia che la strategia di Renzi sia quella di andare allo scontro con la Germania e i suoi sodali del Nord per chiedere maggiore flessibilità: di fatto uno sconto sul risanamento. Chi pensa che anche Parisi faccia il tifo affinché Renzi batta i pugni sul tavolo con maggior vigore si sbaglia di grosso.

È vero che Mister Chili è ipercritico sull'Europa a trazione tedesca; è vero che per lui la Ue così com'è è un grosso problema; come è vero che Parisi non avrebbe stretto la morsa fiscale come fece Monti per «fare i compiti a casa» massacrando la nostra economia. Ma è vero anche che per Parisi la soluzione non sta nel chiedere l'elemosina per avere qualche soldo in più da spendere. Perché il problema è proprio lì: la spesa. Una diversità di approccio che lo distanzia radicalmente da Renzi e Padoan. E, se vogliamo usare categorie obsolete, una differenza che divide il centrodestra dal centrosinistra. «Il nostro guaio è il debito. Il debito a 2.248 miliardi di euro, che peraltro continua a salire, è la trave nel nostro occhio; non la pagliuzza Merkel che non ci fa sconti», direbbe Parisi. Insomma, non si tratta di ottenere qualche spicciolo da spendere; si tratta di non spendere. O, in ogni caso, di spendere molto meno e meglio. Questa la filosofia parisiana che però evita di lanciarsi nelle polemiche di questi giorni sebbene Renzi manifesti svariati talloni d'Achille: non ultimo il pressing dei sindacati del pubblico impiego che chiedono 7 miliardi di euro per il rinnovo dei loro contratti. Cifra che il governo non riuscirà a trovare viste le pessime previsioni sul nostro Pil. Ma mentre Renzi e Padoan si affannano a cercare risorse per dar da mangiare al mammut, Parisi lo metterebbe subito a dieta. Ecco l'abissale distanza tra lui e il premier.

Una rivoluzione liberale, quella che ha in testa Parisi, che si metterebbe in scia a quella iniziata da Berlusconi nel 1994. Ed è proprio «fare come nel '94» il mandato che il Cavaliere ha assegnato al manager. Anche se non è dato sapere se il nome «Berlusconi» (Silvio? se l'Europa gli riconoscerà la piena agibilità politica; Marina?) potrà essere spendibile alle prossime elezioni, trova conferme l'ultima mossa del Cavaliere: di recente l'ex premier ha depositato e registrato in Europa proprio il marchio «Berlusconi». In questo modo nessuno potrebbe usare il suo nome a fini né commerciali né politici. Il che non vuol dire necessariamente che qualcuno della famiglia abbia intenzione di (ri)candidarsi.

La mossa, infatti, costituisce in ogni caso una difesa preventiva nei confronti di qualche furbo intenzionato a sfruttare il brand «Berlusconi» presentando una lista con quel nome per poi «rivenderla» al legittimo titolare.

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