La piazza, gli oligarchi e il ruolo dei generali. Cosa rischia lo Zar (ma l'alternativa non c'è)

Gli ultimi occidentali a incontrare Vladimir Putin sono stati i diplomatici francesi che accompagnavano Emmanuel Macron nel recente incontro

La piazza, gli oligarchi e il ruolo dei generali. Cosa rischia lo Zar (ma l'alternativa non c'è)

Gli ultimi occidentali a incontrare Vladimir Putin sono stati i diplomatici francesi che accompagnavano Emmanuel Macron nel recente incontro. Secondo le indiscrezioni trapelate lo hanno trovato cupo e minaccioso, con un argomentare quasi ossessivo, molto diverso da come era prima della pandemia, periodo che il leader russo ha trascorso in quasi assoluto isolamento. James Clapper, ex direttore della National Intelligence Usa, ora commentatore, ha detto di dubitare «del suo equilibrio e della sua stabilità».

Un leader conosciuto (e spesso celebrato) per la sua fredda razionalità, sembra diventato un altro. È riuscito a scatenare una guerra, indignare il mondo e provocare un contraccolpo che provocherà gravi danni alla Russia e ai suoi cittadini, diventati «ostaggi» del Cremlino, come sostiene Andrei Kolesnikov, ricercatore del Carnegie Moscow Center, in un articolo pubblicato da diverse riviste russe.

Eppure questo nulla dice sulla tenuta del suo potere. Il sistema costruito da Putin in più di 20 anni può essere paragonato solo ai regni di qualche zar antico, o al periodo stalinista, ha scritto di recente Gideon Rachman sul Financial Times. In Russia c'è un uomo solo al comando. E quest'uomo, con l'abilità di un giocoliere, ha giostrato e messo in riga le tante cordate desiderose di emergere.

A Mosca la politica resta, come ai tempi di Winston Churchill, «una lotta tra bulldog che si scannano sotto un tappeto». All'esterno poco o nulla emerge e tutto è sotto il controllo di Putin.

Nel Fsb, progenitore del Kgb, il leader russo è nato e trova la sua naturale base di consensi. Eppure ha fatto crescere e reso centrale il Gru, il servizio segreto militare, e reintegrato le forze armate nel ruolo di uno dei pilastri dell'attuale Russia. Non contento dei servizi di sicurezza già all'opera, nel 2016 ha creato la Rosgvardiya, la guardia nazionale, una specie di esercito personale, e l'ha affidata al suo autista dei tempi di San Pietroburgo. Ha fatto diventare miliardari i suoi amici di infanzia, i compagni di scuola e di palestra. Ora sono i pretoriani del presidente nel campo dell'economia e siedono tra le file degli oligarchi, insieme agli uomini che si sono arricchiti ai tempi di Eltsin. A tutti, soprattutto dopo le sanzioni della guerra di Crimea, ha assicurato ricche commesse pubbliche.

Per un certo periodo, quando salì al potere Dmitri Medvedev, ci si illuse che la Russia fosse una democrazia più o meno compiuta e che un numero due, il delfino candidato a gestire il Paese, ci fosse. Poi le cose si sono chiarite e la parola per definire il regime è diventata «bezalternativnost», mancanza di alternative. Putin comanda perché è l'unico a poter tenere in piedi il sistema basato su soldi e forza bruta.

L'azzardo ucraino, certo, ha cambiato tutto. Gli oligarchi iniziano a prendere le distanze, c'è chi si dichiara contro la guerra. Eppure, ha scritto il già citato Kolesnikov, «le cosiddette élite manageriali hanno scoperto la loro impotenza in un sistema rigidamente autoritario. Nessuno di coloro che circondano Putin è riuscito a fermare la guerra e nemmeno a ai influenzare in qualche modo la decisione, così catastrofica. Hanno solo assentito balbettando. Ecco la reale influenza di questa gente sulle più importanti decisioni politiche: assolutamente zero».

Tra un po', quando le sanzioni occidentali inizieranno a mordere, ad agitarsi saranno le classi medie, costrette a rinunciare a uno stile di vita, viaggi, vacanze, a cui si erano ormai abituate. Ma lo sbocco non appare all'orizzonte, i pochi leader politici ancora in circolazione sono deboli e litigiosi (ed è questo il motivo per cui Putin li ha lasciati in circolazione).

«I russi hanno anni molto duri di fronte a loro», sostiene in modo sconsolato Stanislav Andreychuk, uno dei dirigenti di «Golos», l'ultima associazione per i diritti politici rimasta attiva nel Paese. «All'inizio del Novecento c'è stata una guerra civile finita esattamente cento anni fa.

La Russia ne è uscita con grandi perdite di territorio e popolazioni. Per non parlare delle conseguenze storiche ed economiche. Il conflitto che è in corso può potenzialmente andare nella stessa tragica direzione. Ci sono sempre meno possibilità di fermare la deriva».

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