La sezione disciplinare del Csm ha condannato il pm di Milano Paolo Storari (nella foto) alla sanzione della censura nel caso dei verbali di Piero Amara sulla presunta «Loggia Ungheria». Secondo l'accusa, i verbali sono stati consegnati dal sostituto nell'aprile 2020 all'allora consigliere del Csm Piercamillo Davigo. Storari, secondo quanto si apprende, sarebbe stato condannato per due capi di imputazione su quattro. Per la consegna dei verbali a Davigo i sostituti procuratori generali della Cassazione Simone Perrelli e Luigi Cuomo, lo scorso 14 novembre, avevano chiesto per il pm della Dda milanese la sanzione più grave della perdita di un anno di anzianità. Per la stessa vicenda, ma nel penale, il magistrato è stato assolto in via definitiva dell'accusa di rivelazione di segreto.
La censura del Csm è arrivata per aver violato i «doveri generali di diligenza, correttezza, equilibrio e riserbo nell'esercizio» delle funzioni di pubblico ministero. Per l'accusa, il pm «rivelava il contenuto di atti coperti dal segreto istruttorio, consegnando a Piercamillo Davigo, all'epoca componente del Csm, copia in formato word dei verbali di interrogatorio resi dall'avvocato Piero Amara in merito all'esistenza dell'associazione segreta denominata Loggia Ungheria». L'altro capo di imputazione che ha fatto scattare la censura è legato alle modalità di consegna. Storari avrebbe «gravemente violato» le norme che regolano la trasmissione al Csm delle «notizie di reato nonché di tutti gli altri fatti e circostanze concernenti magistrati che possano avere rilevanza rispetto alle competenze del Consiglio». Le norme prevedono che la trasmissione avvenga da parte del pm «tramite il procuratore generale del distretto di appartenenza, mediante comunicazione al Csm, al procuratore generale della Repubblica presso la Corte suprema di Cassazione e al comitato di presidenza a mezzo di plico riservato».
Il pm milanese è stato invece assolto dall'accusa di aver avuto un comportamento scorretto, accusandoli di inerzia, nei confronti dell'allora procuratore Francesco Greco e dell'aggiunto Laura Pedio e di aver mancato ai doveri di «correttezza e imparzialità, omettendo consapevolmente di astenersi in presenza di un obbligo in tal senso, con riferimento alle indagini sulla consegna in forma anonima ad alcuni giornalisti» della copia dei verbali.
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