A Pompei lo hanno già definito il giardino incantato. Un luogo misterioso e paradisiaco in netto contrasto con l'inferno a venire. Si tratta di un grande larario (da «lari», gli spiriti protettori dei familiari e dei defunti), il posto della casa romana dove si pregava. Misura quattro metri per cinque ed è composto da un grande altare custodito da una coppia di serpenti beneauguranti, attorniato dalle raffigurazioni di un pavone, di fiere che si battono contro un cinghiale nero (il bene che vince il male) e di uccelli che volano nel cielo azzurro. C'è anche un pozzo, una vasca colorata e il ritratto di un uomo con la testa di cane. Sensazionale, non c'è che dire.
La scoperta è in linea con la restante parte della casa già in parte emersa agli inizi del Novecento con accesso dal vicolo di Lucrezio Frontone. Bisognerà capire quale sia la disposizione degli spazi. Questo perché nella stanza sono emersi elementi insoliti come la vasca bordata dal giardinetto che si trova al centro dell'ambiente e lo spazio soppalcato ancora da scavare. Ritrovamenti che rientrano nel più vasto intervento di manutenzione, quello della messa in sicurezza dei fronti di scavo che sta interessando i circa tre chilometri di fronti che delimitano l'area non scavata di Pompei. Scavi fondamentali in una delle aree più a rischio del sito.
Il larario, pressoché integro, è veramente un piccolo gioiello, «una stanza meravigliosa ed enigmatica che ora dovrà essere studiata a fondo», afferma il direttore del Parco Archeologico, Massimo Osanna.
Che si tratti di un luogo deputato al culto degli antenati è evidente grazie alla presenza di un'arula in terracotta con i resti delle offerte bruciate. Non è invece ancora chiaro chi fosse il proprietario dell'abitazione, che sicuramente doveva però appartenere a una famiglia ricca: «Chissà che non lo rivelino i lavori dei prossimi mesi, quando verranno liberate dai lapilli altre due stanze che si affacciavano sul giardino», dice sempre Osanna. Ad ogni modo, la scoperta del larario «è un tesoro inaspettato che viene da qui».
L'impressione è che tutto sia magicamente rimasto al suo posto. Come se il tempo si fosse fermato fino al tragico finale. E la vista della piccola finestra chiusa da una grata come si usava allora richiama l'epilogo. La grata quasi non si distingue, probabilmente perchè fusa dalla valanga di lava che prima di raffreddarsi ingoiò ogni cosa al passaggio, riempiendo di fuoco la stanza alla quale quella piccola finestra doveva portare aria e luce.
Il direttore del Parco Archeologico Massimo Osanna
indica i frammenti di legno riconoscibili nel magma diventato pietra. «Si tratta - spiega - proprio degli infissi di questa finestra, mangiati dalla lava». E così l'atmosfera gioiosa del giardinetto si trasforma nell'inferno
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