Presi i "vivandieri" di Messina Denaro

I due coniugi complici della latitanza del padrino. Il legame speciale con la donna

Presi i "vivandieri" di Messina Denaro

Ragusa. È un «contesto domestico-familiare» quello in cui viveva a Campobello di Mazara il super latitante Matteo Messina Denaro. Ad aprirgli le porte di casa sono stati i coniugi Emanuele Bonafede, cugino del geometra Andrea Bonafede che aveva prestato l'identità al padrino, e Ninfa Lorena Lanceri, entrambi finiti in carcere ieri come fiancheggiatori.

La telecamera di una macelleria immortala il capomafia nel suo andirivieni dall'abitazione della coppia, dove arriva sia in auto che a piedi. Le indagini del Ros dimostrano come i due fossero al corrente della vera identità del boss, malgrado abbiano asserito il contrario presentandosi agli inquirenti giorni dopo l'arresto del 16 gennaio. Sostenevano di averlo riconosciuto dalla tv, e di aver creduto, fino ad allora, che fosse un certo Francesco Salsi, medico in pensione.

Le prove in mano alla procura che smentiscono i due sono tante. A cominciare dai video che li riprendono affacciarsi guardinghi dal portone di casa per sincerarsi che nessuno sguardo indiscreto veda il capomafia uscire. L'ultima ripresa è della sera della vigilia dell'arresto che il padrino ha trascorso con loro. Per il figlio dei due fiancheggiatori, studente di ingegneria, Messina Denaro è il «parrino» (padrino) e non solo perché gli ha fatto da padrino di Cresima regalandogli un Rolex da 6.300 euro, ma perché vi è prova scrive il gip - che «i Bonafede e anche il figlio, ben conoscessero la vera identità del loro ospite». E poi c'è una lettera del 2019 ritrovata in casa della sorella del boss Rosetta, in cui la Lanceri si firma Diletta, nome in codice datole dal padrino per evitare che venga identificata. Gli scrive «sei un grande anche se non fossi MMD».

«Tali affermazioni scrive il gip non lasciano alcun dubbio in merito al fatto che Diletta fosse a conoscenza della reale identità». Lei aveva una funzione «riservata alle persone che godono della massima fiducia del capomafia latitante» occupandosi «di veicolare le informazioni» di fare da «tramite per le comunicazioni scritte del latitante con i familiari oltre che con altri soggetti».

E «Tramite» è un altro nome in codice della donna che rappresentava anche lo «snodo nella trasmissione di comunicazioni di carattere privato, tra Matteo Messina Denaro e una donna identificata con Laura Bonafede, figlia di Leonardo, storico capo della famiglia mafiosa di Campobello di Mazara - nonché cugina di Andrea e di Emanuele Bonafede con la quale il latitante ha intrattenuto un intenso rapporto epistolare».

Laura è la madre della ragazza elogiata in una lettera dal padrino per il legame con la famiglia d'origine, a differenza della figlia Lorenza che ha rinnegato la mafia. Per il gip «la consapevolezza dell'identità del loro ospite trova un coerente riscontro nella riconducibilità degli stessi» proprio alla famiglia del boss Leonardo Bonafede che «si è distinto per la storica conoscenza con la famiglia Messina Denaro» a cominciare da Francesco Messina Denaro, capo della provincia mafiosa di Trapani e anche per la «copertura» della latitanza di Matteo Messina Denaro.

A incastrare i coniugi c'è una fotografia che ritrae il padrino dal collo in giù (senza che si veda il volto) seduto a sorseggiare liquore nel loro salone. Il padrino la inviò a una paziente oncologica, a cui aveva confidato di avere una storia con Diletta. La donna ha conservato le chat, tra cui quella servita agli inquirenti per identificare lei con la Lanceri.

Durante la registrazione di un vocale dal cellulare di Messina Denaro, Diletta riceve una

chiamata. I dati incrociati delle celle telefoniche hanno condotto i carabinieri alla Lanceri che, per il gip, ha garantito al capomafia «il più ampio conforto emotivo e relazionale oltre a quello logistico e assistenziale».

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