Processo alla movida

La Cassazione condanna i Comuni a risarcire chi vive nelle zone più rumorose: "Danni alla salute". I timori dei sindaci: "Serve un intervento legislativo o saremo travolti"

Processo alla movida
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La movida selvaggia rischia di costare cara ai Comuni italiani. Che secondo una sentenza della Corte di Cassazione sono tenuti a risarcire i residenti disturbati dagli schiamazzi del popolo della notte. Una novità che è stata accolta con preoccupazione dai primi cittadini, che chiedono che alle responsabilità pecuniarie per il sonno perduto dei propri cittadini si accompagnino anche dei poteri più forti in materia.

Tutto è nato da una vertenza giudiziaria iniziata, come racconta Il Messaggero, undici anni fa, quando una coppia che viveva in pieno centro a Brescia, fece causa al Comune chiedendo un risarcimento danni per l'«immissione da rumore» provocata dal'lingente afflusso di giovani assetati di alcol e divertimento in via Fratelli Bandiera, la loro strada. Particolare non secondario: a citare il comune della Leonessa d'Italia fu, con la moglie Piera Nava, Gianfranco Paroli, fratello maggiore dell'allora sindaco di Brescia Adriano, che oggi è senatore di Forza Italia. Una lotta intestina, una lite in famiglia che ora rischia di avere pesanti conseguenze a livello nazionale. Dopo alterne vicende giudiziarie (la coppia ha vinto in primo grado e perso in appello) la Cassazione ha stabilito che è legittimo per le vittime della movida chiedere al proprio sindaco che paghi per non aver saputo garantire «il rispetto delle norme di quiete pubblica» e di conseguenza «non tuteli la salute dei cittadini». Il diritto alla salute è infatti costituzionalmente garantito ed è «incomprimibile nel suo nucleo essenziale sulla base dell'articolo 32 della Costituzione, ma anche del diritto alla vita familiare e della stessa proprietà, che rimane diritto soggettivo pieno sino a quando non venga inciso da un provvedimento che ne determini l'affievolimento, cagionata dalle immissioni (nella specie, acustiche) intollerabili, provenienti da area pubblica (nella specie, da una strada della quale la Pubblica Amministrazione è proprietaria)».

La Suprema corte riabilita quindi la prima sentenza del tribunale di Brescia, che risale a sei anni fa, che condannava l'amministrazione bresciana a pagare 20mila euro a testa ai due coniugi, più 9mila euro complessivi per danno patrimoniale oltre alle spesi di lite e agli avvocati. Inoltre il tribunale aveva disposto per il Comune l'obbligo a predisporre un servizio di vigilanza nelle sere dal giovedì alla domenica e da maggio a ottobre per evitare assembramenti notturni. Una sentenza che era stata poi annullata dalla Corte d'Appello, che aveva stabilito che non fosse il Comune a dover intervenire in simili casi e aveva anche stabilito che le competenze a regolare le modalità di intervento della pubblica amministrazione nella vicenda non spettano al giudice ordinario.

Ora il rischio è il Far West. «Questa sentenza attribuisce forti responsabilità anche risarcitore ai Comuni - nota il sindaco di Ravenna e presidente dell'Unione delle province d'Italia, Michele De Pascale -. In passato i locali lamentavano di venire sanzionati per il rumore in strada di fronte a loro. A volte ben sappiamo che i comportamenti scorretti di pochi avventori creano enormi problemi, a fronte della maggioranza degli utenti che si intrattengono in maniera rispettosa. Certo è che servirebbe un intervento legislativo che abbini alle responsabilità i poteri, per poi far rispettare le regole perché il danno economico per i Comuni potrebbe essere enorme».

Per Alessio d'Amato, consigliere d'opposizione in Consiglio regionale del Lazio, «i Comuni dovranno attrezzarsi se non vorranno essere travolti da richieste di risarcimento», ma è comunque importante riconoscere «la prevalenza del diritto alla salute come inalienabile nei confronti della cosiddetta movida».

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