Al via il processo sul caso Regeni. Tra i testi Renzi, Gentiloni e Al Sisi

Prima udienza contro i quattro 007 (assenti) accusati del sequestro del ricercatore. Ma il presidente egiziano, nella lista, non ci sarà

Al via il processo sul caso Regeni. Tra i testi Renzi, Gentiloni e Al Sisi
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Né imputati né difensori di fiducia, nel processo che si apre stamattina a Roma per il sequestro e l'omicidio di Giulio Regeni: i militari egiziani sotto accusa sono rimasti al Cairo, al sicuro, coperti da un governo che alle richieste di assistenza dalla giustizia italiana ha risposto con qualche promessa e nessun fatto concreto. Di fronte all'ostruzionismo egiziano, il processo italiano ha rischiato di impantanarsi, e c'è voluta una sentenza della Corte Costituzionale per permettere che finalmente si arrivasse all'udienza di oggi.

Davanti alla Corte d'assise sono chiamati a comparire il generale Tariq Sabir e i colonnelli Mohamed Athar Kamel e Helmy Uhsam, tutti accusati di sequestro di persona aggravato; insieme a loro il maggiore Magdi Ibrahim Sharif, accusato anche delle torture e dell'uccisione del giovane ricercatore italiano. Per l'inchiesta della Procura di Roma, le prove a carico dei quattro sono inoppugnabili, ma andranno ripetute in aula: e non sarà facile fare arrivare i testimoni a Roma, e farli parlare col loro vero nome anziché con i nomi di copertura utilizzati durante l'inchiesta per proteggergli.

Ma la vera sfida che attende il processo è anche ricostruire fino in fondo il movente e il contesto del rapimento di Regeni. Per questo i genitori del ricercatore, costituitisi parte civile, hanno depositato una lunga lista testi finalizzata a capire perché un neolaureato ventottenne fosse divenuto un pericolo per il regime del Cairo al punto da dover essere brutalmente neutralizzato. Il testimone più importante, nella lista stilata da Alessandra Gamberini, legale dei Regeni, è indubbiamente quello di Abdel Fattah al-Sisi, il presidente egiziano: che però sarà quasi impossibile vedere in aula. Mentre, se la Corte accoglierà la richiesta dei familiari, dovranno venire a raccontare quello che sanno gli uomini chiave della sicurezza italiana: il capo del Dis Elisabetta Belloni, i direttori che si sono succeduti alla guida dell'Aise, e con loro il premier dell'epoca Matteo Renzi e il suo ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, nonché l'Autorità delegata alla sicurezza di allora, Marco Minniti. E poi anche un non-politico ma che dei rapporti tra Italia e mondo arabo sa molto, ovvero l'amministratore delegato dell'Eni Claudio Descalzi.

Ad identificare i quattro imputati l'inchiesta del pm romano Sergio Colaiocco arrivò grazie ai telefoni cellulari localizzati dagli inquirenti italiani sul luogo del sequestro. Da quel momento, i quattro ufficiali sapevano perfettamente di essere indagati, ma la mancanza di notifiche formali ha a lungo impedito che il processo a loro carico prendesse il via.

Nel 2023 la Consulta ha stabilito che davanti ai casi di tortura questa garanzia è eccessiva. Ma i legali d'ufficio degli imputati potrebbero contestare che all'epoca della morte di Regeni il reato di tortura nel codice italiano non c'era ancora.

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