Quei giudici che nascosero le prove a favore di fra' Fedele

La Cassazione annulla la condanna del frate. E ora sotto accusa finiscono i magistrati che lo fecero arrestare

Quei giudici che nascosero le prove a favore di fra' Fedele

Punto e a capo. Nove anni dopo la presunta violenza sessuale ai danni di una suora, si torna in Corte d'Appello. E intanto sotto inchiesta finiscono i magistrati.

Un processo la cui trama forse neppure Franz Kafka avrebbe saputo abbozzare, quello a carico di padre Fedele Bisceglia, il frate francescano accusato di aver ripetutamente usato violenza a suor T. A. - tra il febbraio ed il giugno del 2005 - nelle stanze dell'Oasi, il centro d'accoglienza da lui creato a Cosenza e presto divenuto rifugio per poveri di qualunque razza e fede, religiosa e calcistica.

Per la Cassazione, il frate che ogni domenica univa al rosario il tifo ultras in curva non può essere considerato colpevole. Di più: è da rifare il processo chiusosi nel 2012 davanti alla Corte d'Appello di Catanzaro come già s'era concluso, nel 2011, quello di primo grado: condanna a 9 anni e 3 mesi di carcere per Bisceglia ed a 6 anni e 3 mesi per il suo segretario, Francesco Gaudio, imputato degli abusi secondo gli inquirenti consumati su una giovane ospite della struttura. Così per padre Fedele si ripartirà dall'Appello, forse addirittura con la riapertura dell'istruttoria, come chiedono i suoi legali. Gaudio, invece, ricomparirà in aula per veder rideterminata al ribasso la pena, dopo il taglio per prescrizione di alcuni capi d'imputazione.

Insomma, a dispetto del tempo passato la verità è ancora lontana, anche se il tritacarne mediatico ha già macinato e ridotto in poltiglia la religiosa che patì le ipotizzate sopraffazioni ed il sacerdote, posto ai margini della Chiesa con la sospensione a divinis comminatagli nel 2008.

Un mostro desideroso solo di sfogare i suoi più bassi istinti, padre Fedele, come sostenuto nelle due sentenze ora rimesse in discussione, oppure un innocente esposto al pubblico ludibrio? «Io l'ho sempre detto che sono innocente. Ora dovrò ricominciare a gridarlo più forte, ma forse stavolta sarò ascoltato», commenta lui, che non ha mai svestito il saio e che a gennaio, dall'Africa nera, scrisse al suo vescovo per chiedere d'essere autorizzato a dir di nuovo messa. «Sono state applicate quelle norme di diritto che finora ci sembra non siano state rispettate», sposta il tiro l'avvocato che lo difende, il cugino alla lontana Eugenio Bisceglia.

Nelle sue parole, l'orizzonte che si schiude sul prossimo campo di battaglia. La partita si sposta da Roma a Catanzaro, con una novità che potrebbe aver avuto un ruolo pure nelle decisioni degli ermellini: il pm che condusse l'inchiesta su Bisceglia e Gaudio, Claudio Curreli, oggi in servizio a Pistoia, sarebbe stato iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Salerno, competente per territorio sui fatti riguardanti i magistrati in forza al Tribunale cosentino. Come lui, indagato di abuso d'ufficio, anche l'attuale Gip del Tribunale bruzio, Francesco Branda. La notizia è filtrata sui giornali, con puntualità svizzera, alla vigilia del verdetto della Cassazione. I due, sulla base d'un esposto presentato dal collegio difensivo di Bisceglia, sarebbero sospettati d'aver tenuto fuori dagli atti del processo elementi favorevoli al frate, specie quelli legati all'attendibilità di suor T., con i suoi racconti perno di ogni ricostruzione accusatoria: la donna, stando a quanto scrivono i legali, avrebbe denunciato altre violenze, mai provate.

Accuse archiviate, con le indagini in un caso coordinate proprio da Curreli e col decreto d'archiviazione (ma in proposito il presidente del Tribunale, Renato Greco, ha smentito categoricamente la circostanza) siglato da Branda, poi componente del collegio che in primo grado condannò l'istrionico frate francescano.

Adesso se ne riparlerà verso la fine del 2015. Ma la sentenza pare già scritta, e proprio da Kafka: «Subire un processo simile significa averlo già perduto». Che si sia vittime o colpevoli, come che vadano le cose.

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