Quirinale, Draghi non si sfila. Incognita Salvini sul governo

Il premier bacchetta i ministri: "È offensivo parlarne ora". Preoccupano gli affondi arrivati ieri dal leader della Lega

Quirinale, Draghi non si sfila. Incognita Salvini sul governo

Stesso posto, stesso format e stessa risposta. Peccato sia passato quasi un mese e che nel frattempo siano scesi in campo ministri di peso come Giancarlo Giorgetti o Renato Brunetta - ma pure Massimo Garavaglia - a lanciare pubblicamente la sua candidatura al Quirinale. Circostanza a cui Mario Draghi sceglie volutamente di non dare troppo peso, ribadendo - quasi parola per parola - quanto già aveva detto lo scorso 2 settembre. Ragionare ora di Colle - dice non nascondendo un certo fastidio - «è offensivo nei confronti del presidente in carica». E comunque, aggiunge nuovamente, «non sono io la persona giusta a cui fare questa domanda» perché «è il Parlamento che decide».

Passati due giorni dalla sortita di Giorgetti - ministro che a Palazzo Chigi tutti raccontano vicinissimo al premier - l'ex Bce cerca dunque di mettere a tacere chi ha visto nelle parole del numero due della Lega l'inizio delle grandi manovre per il Quirinale. Anche perché a Giorgetti hanno fatto seguito prima il titolare del Turismo e poi quello della Pubblica amministrazione, anche quest'ultimo sempre molto in sintonia con il premier. Inevitabile, insomma, che in queste ultime 48 ore si sia fatta strada la convinzione che Draghi non fosse rimasto particolarmente contrariato dalle loro parole. Ieri, invece, ne ha voluto prendere le distanze, parlando di ipotesi «offensiva» verso Mattarella. Siccome a paventare lo scenario sono stati tre suoi ministri, viene da pensare che è proprio a loro - e non a chi ha posto la domanda in conferenza stampa - che si stesse rivolgendo l'ex Bce.

In verità, però, Draghi si limita a rimandare la palla al Parlamento. Lo fa con nettezza, certo. Ma, si sa, quasi sempre in politica quello che conta è il non detto. E il premier non si è certo chiamato fuori dalla corsa, neanche con un generico riferimento alla sua volontà di portare a termine il lavoro fino al 2023. Almeno non esplicitamente, perché il messaggio che ha voluto veicolare ieri è quello di un governo concentrato su un'agenda che più impegnativa non potrebbe essere. Non solo delega fiscale e concorrenza, ma anche legge di bilancio e decreti collegati. Per non parlare di provvedimenti sul welfare e i dossier esteri, a partire dal G20 straordinario sull'Afghanistan. Insomma, sembra lasciar intendere Draghi, i prossimi tre mesi - a metà gennaio inizieranno le votazioni per eleggere il nuovo capo dello Stato - siamo concentrati su quanto c'è da fare. Senza trascurare tutto quello che già è stato fatto, perché - spiega in conferenza stampa con al suo fianco il ministro dell'Economia Daniele Franco - ora «c'è fiducia in Italia» e «c'è fiducia nel resto del mondo verso l'Italia».

Resta sullo sfondo il tema del voto amministrativo. Nonostante sia ben chiaro al premier che l'appuntamento è destinato ad essere lo spartiacque di una nuova fase politica. Soprattutto rispetto alla tenuta della Lega, visto che Matteo Salvini - già in fortissima difficoltà per l'affare Morisi - dovrà certamente fare i conti con un brusco crollo di consensi. E a quel punto la tenuta della maggioranza potrebbe diventare un'incognita. A Palazzo Chigi, per dire, non è passato inosservato che ieri - per la prima volta da mesi e mesi - Salvini abbia deciso di puntare direttamente su Draghi, chiamandolo in causa in prima persona.

Sul fisco («gli chiediamo l'impegno a non aumentare l'Imu perché abbiamo sentito parole ambigue») e soprattutto sul fronte Covid. E su questo secondo fronte è arrivato ad associarlo a quello che è sempre stato uno dei suoi principali bersagli: «Tutta l'Europa riapre, vorrei capire da Draghi e Speranza perché noi no».

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