Si chiama «Scudo e freccia» l'operazione intrapresa alle due della notte di domenica con tre eliminazioni mirate, contornate da una decina di morti e feriti, e proseguita nella giornata di ieri con altri due morti. Anche questi terroristi della Jihad Islamica, presi di mira nella loro auto mentre stavano per sparare un missili teleguidato. Tutti gli obiettivi sono membri dell'organizzazione che dopo la morte in carcere di un jihadista, Khaled Arnan, di sciopero della fame, ha lanciato il 2 maggio 104 missili sul sud di Israele. I due eliminati ieri tentavano una delle possibili vendette per la morte tre capi islamisti: Khalil al Bahtini, Tarek Izeldin e Jihad Ghannam. Fra i membri delle loro famiglie uccisi nell'attacco, anche purtroppo due bambini. Bahtini aveva nel suo curriculum l'organizzazione di innumerevoli attacchi suicidi, lanci di missili, bombe. Coordinava gli attacchi della fazione terrorista. Izerdin era il responsabile degli attacchi nell'West Bank, era lo stratega del terrore che usciva da Gaza. Condannato a vita, era stato rilasciato nello scambio per Gilad Shalit nel 2011. Ghannam era un assassino seriale: fra l'altro nel 2004 ammazzò a fucilate una donna incinta di otto mesi, Tali Hatuel, con i suoi 4 bambini.
L'operazione di ieri è stata preparata con determinazione e precisione dopo un periodo di silenzio dall'attacco del 2 maggio: Netanyahu sembra aver voluto con questo rassicurare i cittadini che hanno sofferto, specie nel sud del Paese, nelle settimane delle manifestazioni nelle strade assieme alle violenze delle giornate di Ramadan; la decisione dell'operazione risponde alla Jihad e a Hamas che volevano dimostrare di essere i padroni delle Moschee. Duole pensare che in questi attacchi anche sangue innocente sia stato versato: ma l'operazione è una scelta di salvaguardia ritenuta necessaria.
Adesso Israele ha il fiato sospeso: a parte le condanne internazionali (ma gli USA non si son sentiti) e le criminalizzazioni (Abu Mazen in volo verso Washington al Nakba Day, Erdogan,l'Egitto, la Giordania, il Qatar...) si teme la ritorsione. Per ora c'è solo una presa di posizione di Khaled Mashal, che dichiara che parteciperà alla grande vendetta. Nel sud del Paese le scuole sono chiuse, gli autobus e i treni fermi, i negozi chiusi, i rifugi aperti: ma la gente di Sderot, di Netivot, di Ashkelon, dei kibbutz, dice che è pronta a qualsiasi sacrificio per il cambiamento. Non ne può più. Ieri si è riunito il Gabinetto di Sicurezza.
Certo, il fuoco di Hamas non brucia solo sul suo confine meridionale, certo l'Iran ha interessi prima di tutto legati alla Jihad islamica, certo Hamas siede oggi anche sul confine del Libano con Hezbollah. Ma il guanto è stato lanciato dopo averci pensato bene, scegliendo il nemico, solo la Jihad Islamica. Netanyahu ha detto: «Alla violenza, noi risponderemo tutti uniti. Sappiamo affrontare ogni rischio e vincere. Non ci mettete alla prova». Ma qualsiasi cosa può accadere nelle prossime ore. Di sicuro Israele ha cercato con questa operazione di ristabilire la deterrenza perduta nella supposizione del nemico che Israele fosse indebolita dallo scontro interno.
I soldati delle riserve sono stati in parte richiamate, 200 famiglia sono state evacuate. Israele è pronta, può darsi che Hamas stia chiedendosi se stavolta la strada prescelta sia quella dell'eliminazione dei grandi capi.
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