
Una guerra di mozioni sul Rearm Europe squarcia il centrosinistra. Ad aprire le danze è stato il leader M5s, Giuseppe Conte, che non ha mai fatto mistero della sua ostilità al ribattezzato «Readiness 2030», e che adesso, anche in vista della manifestazione pentastellata del 5 aprile, annuncia una nuova mozione contro il piano.
«Il Parlamento deve votare, non possono portarci a una economia di guerra senza che si esprima», incalza l'ex premier, ribadendo la contrarietà dei 5S al Piano von der Leyen e annunciando a stretto giro di posta che chiederà nelle conferenze dei capigruppo di Senato e Camera di calendarizzare presto la mozione. Che incassa a tempo zero il plauso di Avs, con i co-leader rossoverdi Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli che annunciano a loro volta l'intenzione di presentare «un nostro testo» sul tema.
A far rischiare alla cascata di mozioni l'effetto domino è Carlo Calenda (nella foto). Il leader di Azione, giorni fa, su La7, aveva anticipato la presentazione di «una mozione con tre punti alla Camera che dice: primo, sostegno al piano ReArm Eu o come si chiama; secondo, l'Italia si impegna a prendere il prestito europeo per arrivare al 2% di spesa militare immediatamente, sono 13 miliardi; terzo punto, dire sì al piano di aiuti all'Ucraina e cercare di rafforzarlo». Iniziativa asseritamente finalizzata a costringere Salvini a prendere posizione ma che, essendo diametralmente opposta a quelle giallo-rosso-verdi, non fa che allargare il crepaccio che separa il centrosinistra. E lascia in una posizione complicata il Pd, che sul Piano Ue fatica già di suo a trovare una posizione unitaria e convincente.
Il partito di Schlein ha scoperto la delicatezza del tema in occasione del voto sul Piano a Bruxelles, quando mezza delegazione nonostante l'indicazione ad astenersi della segretaria ha votato a favore (salvo trovarsi di nuovo quasi tutti compatti sul sì, a Strasburgo, quando c'era da votare sul sostegno a Kiev). I vertici dem avevano tirato poi un sospiro di sollievo in occasione delle comunicazioni all'Aula di Meloni, la scorsa settimana, trovando una quadra-tregua alle contraddizioni interne del Partito democratico. Mettendo insieme un colpo al cerchio «pacifista» - la richiesta di una «radicale revisione» del piano di riarmo e un contentino per la botte riformista dem, ossia «l'avvio di un percorso» che conduca alla difesa comune europea. Ma se al Nazareno speravano di aver disinnescato la bomba-Rearm, la mossa di Conte ha fatto ripartire il tic-tac. Tanto che fonti dem considerano quello del leader pentastellato «più una provocazione al Pd che un attacco al governo», definizione del resto adatta anche alle future mozioni in arrivo da Avs e da Azione.
Così per il Pd, oltre che snobbare la manifestazione di piazza del M5s (ricambiando il favore, visto che Conte e i suoi avevano disertato la «Piazza per l'Europa» dello scorso 15 marzo), l'opzione più probabile è quella di rispolverare, in una propria mozione, quanto già scritto nella risoluzione della scorsa settimana, giocando di sponda con i fronti opposti degli «alleati» e proponendosi ancora come «ammiraglia» dell'opposizione. Ma tentare di tenere la rotta navigando a vista tra gli iceberg piazzati dagli amici e le sue stesse faglie interne non sarà impresa facile.
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