Il Recovery italiano è tutto da rifare

Bruxelles vieta di usare i fondi per la spesa corrente. Più difficile dare mancette

Il Recovery italiano è tutto da rifare

Il piano sul quale sta candendo il governo - o forse solo quello servito da pretesto a chi vuole sbarrare la strada a Giuseppe Conte - è in buona parte da riscrivere. Il Recovery plan italiano, con le sue 171 pagine approvate dal Consiglio dei ministri (senza il voto di Italia viva di Matteo Renzi) ha più di un problema rispetto al nuovo regolamento approvato dal Consiglio e dal Parlamento europeo. Molto più restrittivo e condizionato rispetto al testo precedente, approvato a suo tempo dalla Commissione europea.

All'articolo 4 che specifica gli obiettivi generali e specifici del piano, se n'è aggiunto uno nuovo - il 4a - sui «principi orizzontali».

Poche righe per dire che lo «strumento finanziario» messo a disposizione dal piano (prestiti e contributi a fondo perduto) «non potrà, se non in casi giustificati, sostituire spese ricorrenti del bilancio nazionale».

Tradotto, il piano potrà finanziare solo spese per investimento escluso un utilizzo delle risorse per alimentare spesa corrente. Dettaglio importante. Per dare un'idea, la spesa corrente per eccellenza sono le assunzioni nel pubblico impiego, particolarmente amate dal governo in carica. Il regolamento, di fatto, vieta di utilizzare i 209 miliardi europei per farne. Un paletto che rende impossibile trasformare il Piano nazionale di ripresa e resilienza in una legge di Bilancio elettorale. Difficilissimo farne la base per un compromesso politico all'interno della maggioranza.

Altro problema sollevato dal regolamento, è la possibilità utilizzare parte dei prestiti del Recovery per coprire spese già decise. Sono 66,6 miliardi contro i 143,24 dedicati a nuovi progetti. Se da un lato Bruxelles sembrava avere gradito la strategia decisa dal ministro dell'Economia, Roberto Gualtieri, di sostituire parte del vecchio debito con i nuovi prestiti europei, il regolamento è un richiamo - in classico stile Bruxellese - a concentrare i fondi in investimenti specifici e nuovi.

Quelle dell'articolo 4a, insomma, sono due «condizionalità» che potrebbero costringere il dicastero di via XX Settembre a riscrivere parte del documento approvato la settimana scorsa dal Consiglio dei ministri e a riformularlo in una versione poco attraente per la politica italiana: senza spesa corrente e focalizzato su spesa in conto capitale, investimenti per realizzare piani ben precisi.

Nel regolamento sono presenti anche le altre note condizionalità sul rispetto dei vincoli di bilancio. Ai governi che non abbiano fatto abbastanza per ridurre il deficit in modo efficace potranno essere bloccati i fondi. Un richiamo che sembra ritagliato su misura per l'Italia. Ieri la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha garantito che i fondi del recovery arriveranno agli stati entro giugno.

A proposito del Patto di stabilità si è detta a favore della sospensione per tutto il 2021 e contraria a scadenze prefissate. Poi ha sottolineato come comunque restino delle «condizioni». Come quelle legate al recovery fund.

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