La campagna elettorale per le Amministrative di settembre incrocia il suo destino con il dibattito sul referendum confermativo, dal momento che il governo ha deciso per l'election day del 20 e 21 settembre. Al traguardo i partiti di centrodestra arriveranno in ordine sparso senza la compattezza dedicata ad altri temi.
Sulla carta Lega e Fratelli d'Italia sono per il Sì al taglio dei parlamentari. Anzi, Salvini e soprattutto la Meloni lo ripetono da tempo senza tentennamenti. E però nei quartier generali dei due partiti non si può fare a meno di notare che il referendum sta diventando a poco a poco anche un voto sul governo e soprattutto sui grillini, visto che Luigi Di Maio continua a ripetere che sul taglio dei parlamentari ci si gioca la faccia. Una vittoria del No metterebbe in discussione non solo la coalizione giallorossa ma il governo stesso.
Diverso il caso di Forza Italia al cui interno il dibattito è aperto. Non ci sono pregiudiziali contro il taglio dei parlamentari. Alcuni dirigenti azzurri di rango, però, hanno espresso anche pubblicamente molte riserve, e alcuni di loro anche convincimenti granitici, come Giorgio Mulè. «Con 200 deputati e 100 senatori in meno non funzionerà meglio il Parlamento - ha spiegato l'altro giorno il portavoce parlamentare degli azzurri sul Foglio -, in niente migliorerà la qualità del potere legislativo». Da cambiare, dice, sarebbero semmai «i regolamenti di funzione di Camera e Senato. Lì bisognerebbe incidere in profondità per rendere snello ed efficace il procedimento di formazione delle leggi». Insomma il problema sarebbe cosa fanno i parlamentari, non quanti sono. Il fronte del No registra, tra gli altri, l'opposizione netta di Lucio Malan e di Simone Baldelli.
Ieri sempre sulle pagine del Foglio al dibattito si è aggiunta la voce di Mariastella Gelmini, capogruppo azzurro alla Camera dei deputati, convinta che il vittoria del Sì rappresenti la «fine dell'incompetenza al potere». La Gelmini rimette la barra del timone sulle coordinate del taglio. «Chi, come Forza Italia, ha, fin dalla sua nascita, sostenuto la battaglia dell'efficientamento della macchina pubblica e della riduzione dei costi e dell'invadenza della politica - spiega la capogruppo azzurra -, con pragmatismo oggi non può che sostenere il Sì al referendum confermativo». Resta il problema di una «riforma» monca. Non sostenuta da un sistema elettorale adeguato e da un'adeguata riforma costituzionale. E proprio la Gelmini ricorda che già nel 2005 Forza Italia aveva avanzato la proposta di una riforma strutturale che prevedesse anche il taglio dei parlamentari. «Riforma cancellata poi da un referendum nel 2006 voluto dalla sinistra e da Prodi».
Di sicuro il dibattito sul referendum è condizionato anche dalla riforma elettorale. Il testo elaborato dal presidente della commissione Affari costituzionali della Camera, Giuseppe Brescia, frutto dell'accordo siglato dalla maggioranza lo scorso gennaio sul proporzionale con soglia di sbarramento al 5%, sarebbe dovuto approdare in Aula a fine luglio. Ma lo stop imposto da Italia viva, che ha disconosciuto l'accordo, le richieste di modifica alla soglia avanzate da Leu e la netta contrarietà del centrodestra hanno bloccato la riforma, nonostante i dem abbiano provato a forzare la mano.
Se ne riparlerà proprio a settembre, quando il Pd tornerà a chiederne la calendarizzazione in Aula, per incassare il via libera di Montecitorio prima del referendum sul taglio degli eletti. Una tempistica che, al momento, appare di difficile realizzazione.
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