Roma. Il Pd rompe rompe l'unità nazionale e scarica quintali di insulti contro la terza carica dello Stato. L'elezione al vertice di Montecitorio del leghista Lorenzo Fontana manda in tilt la sinistra, che si esibisce in un travaso di odio prima, durante e dopo il verdetto dell'Aula della Camera dei deputati. Letta, Fratoianni e Calenda sono scatenati. Finalmente hanno trovato il «mostro» su cui scaricare la frustrazione dovuta alla sonora sconfitta elettorale. Il neopresidente della Camera è l'animale da crocifiggere e dare in pasto ai militanti inferociti. Quando si dice il senso delle istituzioni. In soccorso dei compagni arriva anche Roberto Saviano. Fino a ieri, Letta e company predicavano responsabilità e unità, rinfrancati dal discorso sulla riconciliazione di Liliana Segre al Senato. Ma poi alla prova dei fatti riversano bile contro l'avversario. La riconciliazione nazionale è già archiviata. La sinistra ritorna ai propri fasti di berlusconiana memoria: l'avversario va demolito. Abbattuto in pubblica piazza.
Oggi è il turno del leghista Fontana che incassa l'elezione al vertice di Montecitorio con 222 voti dell'Aula in un clima surreale. Di caccia al mostro. Le opposizioni non applaudono nemmeno nell'istante in cui il leghista tocca il quorum necessario per l'elezione. Un autogol. Soprattutto per Giuseppe Conte, che non applaude un ministro del governo gialloverde, il suo primo esecutivo.
La votazione si svolge in un'atmosfera tesa. Fontana è nel giardino di Montecitorio con Bossi e Salvini mentre in Aula la sinistra prepara l'assedio. Prima dell'inizio dei lavori il presidente provvisorio, il renziano Ettore Rosato, è costretto a far rimuove uno striscione preparato da Alessandro Zan con la scritta: «No a un presidente omofobo pro Putin». Eccolo l'antipasto di una giornata carica di tensione. Il parlamentare Zan affida il compito a due matricole dei dem: Rachele Scarpa, eletta in Veneto, e Sara Ferrari, una trentina approdata a Montecitorio dopo 14 anni al Consiglio provinciale di Trento. Un rito di iniziazione per i due giovanissimi parlamentari Pd. Nella gara all'insulto Letta riabbraccia l'ex alleato Carlo Calenda: «È un nome pessimo, divisivo, quanto quello di La Russa. È stato vicino a partiti come Alba dorata, che è un partito neonazista messo fuori legge» attacca il leader dell'autoproclamato terzo polo. Si schiera anche il Financial Times che in un articolo evidenzia che «l'elezione di un euroscettico ammiratore di Vladimir Putin a nuovo presidente della Camera alimenta nuovi timori sulla direzione della politica estera italiana sotto un governo di destra». Per Ft la scelta «riflette il forte potere e l'influenza dell'ala filorussa della Lega di Salvini, da cui dipenderà la stabilità del nuovo governo».
Nicola Fratoianni non si contiene: «Fra l'ammirazione per Putin, l'odio per le donne e per i diversi, i messaggi amichevoli ai neonazisti greci di Alba dorata non c'è che l'imbarazzo della scelta. Può diventare presidente di Montecitorio uno come l'ultrà leghista Lorenzo Fontana?» inveisce il leader di Sinistra italiana. Il Pd perde il bandolo della matassa e va a ruota libera contro il neopresidente della Camera: «Peggio di così nemmeno con l'immaginazione più sfrenata. L'Italia, non merita questo sfregio» rincara Letta. Non si contano gli attacchi. «Per l'elezione di Fontana il primo a festeggiare è Vladimir Putin, alla faccia della tanto sbandierata continuità e della presunta svolta moderata raccontata da alcuni commentatori. La verità è che tra ieri e oggi si è consumato un ulteriore inquietante slittamento a destra. Il Pd ha fatto una campagna elettorale di contrapposizione forte verso questa stessa destra, denunciando i rischi di una deriva che era prevedibilissima già prima del voto. Siamo stati gli unici a farlo» rilanciano anonime fonti del Pd. Non manca all'appello Saviano: «Lorenzo Fontana. Il peggiore». Ecco il «mostro» sbattuto sul patibolo.
Il neopresidente
non cade nella provocazione. Incassa gli insulti e l'elezione. Nel suo intervento dà prova di pacatezza e mette nel suo Pantheon Umberto Bossi ma anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il Papa. Altra bile per il Pd.
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