Gli stiracchiati trionfalismi post voto sono durati poche ore. Nemmeno il tempo di terminare i festeggiamenti in casa Pd per aver agguantato il pareggio alle regionali e i toni sono già tornati a giugno scorso, quando Nicola Zingaretti incitava il governo a uscire dalla palude e cominciare a chiudere i mille dossier aperti, dal Mes all'Alitalia.
Tutte le contraddizioni della maggioranza tenute sotto sedativo per non guastare la campagna elettorale sono riesplose. Risultato: il governo appare di nuovo indeciso a tutto. A partire dalla politica economica, che pure dovrebbe essere il piatto forte, vista la prospettiva di gestire i 209 miliardi del Recovery fund, (integrati ieri dai 27,4 dei fondi Sure) che, diceva ieri Conte all'Onu «permetterano di ripensare il nostro mondo, renderlo più verde, digitale e inclusivo». Ma l'iter che parte con la Nadef si è già inceppato: il Cdm sul documento di politica economica pare destinato a slittare al 5-6 ottobre. Eppure non c'è tempo da perdere: per arrivare preparati alla partita del Recovery fund la maggioranza deve assolutamente decidere quali sono le priorità della politica economica per il nuovo anno e selezionare i progetti che potrebbero ricevere i finanziamenti europei. Ma le distanze tra le forze di maggioranza non sono state colmate dai risultati delle regionali né da quello del referendum. E in più i 5 Stelle sono completamente avvitati sulla spaccatura interna, come fa intendere l'appello dello stesso Luigi Di Maio: «Bene il confronto interno con gli Stati generali, però voglio dire: rapidità».
Non è facile però entrare nel merito dei progetti quando la forza politica con il maggior numero di parlamentari rischia di spaccarsi a ogni pressione esercitata dagli alleati.
Come succede con il Mes. Nell'arco di 24 ore risuonano esponenti M5s come il sottosegretario all'Economia Alessio Villarosa pronti a definire il fondo europeo «non necessario», il ministro per il Sud Giuseppe Provenzano che lo invoca affidandosi «al buon senso del Parlamento» e Matteo Renzi che si prepara a chiedere conto a Giuseppe Conte: «È allucinante che non sia partita la procedura del Mes».
Nel frattempo nuovi ritardi vanno ad accumularsi sui dossier di cui Zingaretti già a giugno lamentava la mancata definizione. È il caso di Alitalia: «Confermo che su Alitalia siamo alla firma del decreto di istituzione degli organi sociali e dello statuto della Newco», ha assicurato in audizione alla Camera il ministro Paola De Micheli- aggiungendo che «però non lo firmo da sola» e mettendo le mani avanti sui tempi: «C'è stato un errore tecnico ed è per questo che al mio primo annuncio non è seguito il varò, ora però è risolto».
E la stessa De Micheli ieri è stata interpellata anche su un'altra partita importante ed è stata costretta ad ammettere che «nessun atto è stato chiuso», salvo aggiungere l'ennesimo monito: «Il governo non è disponibile a dilazionare per un tempo infinito».
«A due anni dalla tragedia del ponte Morandi e a due mesi dall'aver annunciato un grande successo la vicenda Aspi è ancora in alto mare», chiusa amara l'azzurra Anna Maria Bernini. Silenzio invece sulla partita ex Ilva. Per la quale però c'è un conto alla rovescia: a novembre gli indiani di Mittal potrebbero disimpegnarsi lasciando l'acciaieria, e Taranto, nel baratro.
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