Lassù, nell'empireo della «nube» di Fuksas, il mondo sembra un universo felice. Un incrocio di sorrisi, complimenti e, visto il Covid, di simboliche, quanto generose strette di mano. Ma le incognite di ogni summit si celano negli invisibili sotterranei dove lavorano, instancabili, i guastatori d'ogni vertice. Formiche invisibili, ma capaci di allargare pericolose crepe. Quella più profonda, apertasi ieri all'ombra della nube di Fuksas, è opera degli sherpa di Cina e India. Due nazioni divise su tutto, ma capaci di allinearsi se qualcuno punta il dito sui gas mefitici generati dai loro sistemi industriali.
Allora i due nemici - terrorizzati dall'incubo di chiudere fabbriche e ciminiere che sfamano due miliardi e mezzo di individui, ma contribuiscono al 35 per cento delle emissioni mondiali - si ritrovano uniti e solidali. Così è andata anche ieri. Dai sotterranei del vertice è emersa una bozza finale del summit stravolta dalle incursioni cinesi e indiane. Una bozza priva di ogni riferimento alle «azioni immediate» necessarie a limitare l'incremento della temperatura globale a 1,5 gradi centigradi come da accordi di Parigi. Ma ancor più devastante è l'eliminazione di ogni riferimento al 2050 come termine ultimo per azzerare le emissioni di gas serra. Il ben più vago riferimento alla «metà secolo» inserito nella nuova bozza è chiaramente una concessione alla Cina, decisa a spostare l'obiettivo al 2060, e ad un India restia ad assumere qualsiasi impegno sull'argomento. Ma la mancanza di intese sulla transizione energetica rappresenterebbe un autentico flop per un G20 considerato l'indispensabile prologo del Cop 26, il vertice Onu al lavoro già oggi a Glasgow per inseguire l'obiettivo di zero emissioni nel 2050.
La mina della transizione energetica non è l'unica minaccia per un summit destinato, in teoria, a favorire il ritorno ad un ordine mondiale basato su multilateralismo e decisioni condivise. Il pesante scontro sulle concessioni di pesca nella Manica sta scatenando, per ammissione dello stesso premier inglese Boris Johnson, una «turbolenza» capace di compromettere i rapporti franco-inglesi. Opinione condivisa dal presidente francese Emmanuelle Macron pronto già da martedì a prender «misure adeguate» contro il Regno Unito. Del resto Macron è il primo a usare il G20 per scavare altre crepe sull'asse globale. Il bilaterale tra Unione Europea e Unione Africana, da lui voluto, è, in fondo, un tentativo di contrastare il neo-colonialismo cinese e - ancor di più - le incursioni turche in un Africa che la Francia non rinuncia a considerare il proprio retrobottega.
Le intemperanze europee son poca cosa rispetto alle minacce di una Cina che, non paga di aver sabotato le intese sul clima, lancia un siluro capace di affossare anche quelle sulla lotta globale al Covid. «La stigmatizzazione del Covid-19 e la politicizzazione del tracciamento della sua origine vanno contro lo spirito di solidarietà verso la pandemia», dichiara in collegamento virtuale il presidente cinese Xi Jinping. Parole in cui aleggia il rifiuto di qualsiasi collaborazione nella lotta alla pandemia con chi accusa Pechino di aver contribuito all'origine e alla diffusione del virus. Parole in cui si legge l'influsso dei venti di guerra che spazzano il sud del Pacifico e avvelenano i rapporti un'America colpevole di difendere l'indipendenza e l'integrità territoriale di Taiwan. Non a caso il terzo siluro cinese lanciato dal ministro degli Esteri cinese Wang Yi punta direttamente su Washington.
Paracadutato nella «nuvola» in rappresentanza di Xi Jinping il ministro cinese spara a zero sugli Usa e sui loro alleati avvertendoli che chiunque interferirà nella questione Taiwan «pagherà sicuramente un prezzo». Minacce da guerra fredda che rappresentano un vero «requiem» per il tanto sospirato ritorno al dialogo e al multilateralismo.
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