Quel rumore cupo del niente assassino. Negli alberi distrutti la nostra impotenza

Il racconto dell'uragano da una delle strade più colpite. L'uomo spaesato di fronte alla catastrofe

Quel rumore cupo del niente assassino. Negli alberi distrutti la nostra impotenza
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Questa notte, verso le tre e mezza, faceva caldo, e quando ha iniziato a piovere e dalla finestra aperta ho sentito entrare un po' d'aria mossa, mi sono sentito bene. Lo scroscio però cresceva sempre più, accompagnato da un brontolìo incessante che si andava avvicinando, come un esercito in marcia. Poi ha cominciato a soffiare un vento fortissimo. Qui, in viale Argonne, a Milano, ci sono tanti alberi e il vento, appena comincia a crescere, produce un forte sibilo. Mi sono alzato per chiudere le finestre lasciate aperte e mentre mi dirigevo verso la sala ho realizzato che un rumore come quello non lo avevo mai sentito. Il viale è molto largo e qualcosa ci è planato dentro, come un enorme aereo in avaria. Tutto trema, tutto traballa. Cosa sta succedendo, mi chiedo? Vento più pioggia più grandine più qualcos'altro ancora. Dalla finestra di sala guardo verso viale Argonne ma viale Argonne non c'è più. C'è anche del vapore, c'è ghiaccio ma anche acqua calda. Il termometro segna 22 gradi. Mentre, sconcertato, guardo questo spettacolo fatto di un niente assassino, ecco il fantasma di un grande platano, proprio davanti a me, piegarsi e coricarsi sulla carreggiata, sulle auto posteggiate. E a questo punto ho un po' di paura. Questa cosa mai vista - i notiziari l'hanno chiamato temporale, che è come chiamare «mare mosso» uno tsunami - non è durata a lungo, non tanto più di mezz'ora, forse anche meno. Piano piano la calma è tornata, però a questo punto non ero più calmo io, e con me credo tantissimi milanesi. Non potendo fare altro me ne sono tornato a letto, a pensare, ma non devono essere stati pensieri troppo originali. Taluni un po' generici («Inutile cercare di evitare i guai, tanto ci pensano loro a cercare noi»), altri un po' meno generici («La mia macchina si sarà salvata?»), gli uni e gli altri conditi di una specie di malinconica indifferenza. Mi sentivo dentro come il cielo quando, dopo un temporale, si divide in tante nuvole che scappano via.

Questa mattina alle sette, sotto un sole beffardo, guardavo lo spettacolo di viale Argonne devastato, pieno di gente che filmava o fotografava. Più di dieci alberi erano stati divelti dalla furia. Ho controllato le condizioni della mia macchina, non sono buone ma nemmeno disperate, ma sinceramente non me ne importava molto, mentre mi dispiaceva per gli alberi, vittime un po' delle intemperie, un po' (diceva qualcuno) dei lavori della metropolitana che hanno indebolito le radici e un po' della scarsa manutenzione. Ma era il sentimento da day after a dominare. Pensavo a quelli che devono vivere nella guerra, e tutte le mattine si alzano senza sapere se il paesaggio che si presenta alla finestra sarà lo stesso della sera prima.

È crudele dirlo, ma pur augurandoci che non succedano né bombardamenti né tornado né malattie né altre cose orribili, occorre ammettere che prima o poi la vita presenta conti di questo genere, quando d'un tratto i dieci minuti, le tre ore, il mese, l'anno che ci sta davanti non fanno più parte del nostro solido progetto di vita, tutto diventa aleatorio, e noi stiamo dentro una vita che in ogni istante può prendere tante direzioni, tutte indipendenti da noi. Guardo la gente che si aggira tra la ramaglia, scatta fotografie, commenta la sfortuna di chi si è visto la macchina spezzata in due e la fortuna di chi non ha avuto danni, e dalla faccia che fanno si deduce la solita invincibile questione: «Chissà perché?».

Già: chissà perché. Viene in mente la risposta di Papa Benedetto XVI, a cui una bimba giapponese domandò come Dio avesse potuto permettere lo tsunami del 2011: «Non lo so» disse. Ricordo la mia esultanza a queste parole. Anche il nostro spaesamento ha un suo perché, e va rispettato, senza la solita fretta di trovare colpevoli, o risposte escatologiche (che alla fine sono un po' la stessa cosa).

Io penso che un po' di perplessità, una sospensione dei nostri soliti discorsi, ci faccia bene. Non ho dubbi che le cause precise di quanto accaduto si troveranno, che il fenomeno verrà descritto con precisione, che altri fenomeni simili potranno essere meglio previsti ed evitati, a tutto vantaggio dei nostri balconi, degli alberi cittadini, delle nostre automobili parcheggiate in strada anche a causa del costo folle di un box. Ma intanto circola un po' di silenzio, forse amaro: quel non saper che dire che però ci fa un po' più adulti.

Una donna va su e giù con lo martphone spiegato in battaglia, filma qua, fotografa là, e poi brontola: gliele faremo pagare tutte, al Sala; ma poi vede un signore anziano, desolato davanti alla sua Golf distrutta da un tronco e la sua rabbia si calma, fa un passo indietro. Ecco, così è un po' per tutti noi, in questo strano 25 luglio 2023.

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