"Sì ad armi e sanzioni". Unità nazionale su Kiev ma Conte rompe il fronte

Intesa in Parlamento, fuori solo l'ex premier che prova a spaccare il Pd e finisce isolato

"Sì ad armi e sanzioni". Unità nazionale su Kiev ma Conte rompe il fronte

È un fronte amplissimo e trasversale quello che si è saldato ieri alla luce del sole, nelle aule parlamentari, a sostegno dell'Ucraina e della linea delle democrazie occidentali.

Una vera e propria «unità nazionale» filo-atlantica sulla politica estera, che va dal centrodestra di Giorgia Meloni al Pd (ancora) di Enrico Letta, passando per il Terzo Polo che proprio ieri vedeva uno dei suoi leader, Carlo Calenda, a Kiev. Con i 5 Stelle di Conte per la prima volta esplicitamente schierati (e isolati) sul fronte opposto, quello che - dietro l'alibi del «pacifismo» - tende la mano alla Russia di Putin chiedendo l'immediato stop a ogni sostegno alla resistenza ucraina e a quei sistemi di difesa, come ricorda il ministro Guido Crosetto, che servono a «intercettare ogni giorno decine di missili russi contro i civili e contro le infrastrutture civili» per causare morte e distruzione: «Un nuovo Holodomor». Alla Camera e al Senato, in contemporanea, Giorgia Meloni (che relaziona al Parlamento sul prossimo vertice Ue) e il suo ministro della Difesa Guido Crosetto (che annuncia il nuovo invio di aiuti militari a Kiev), illustrano con chiarezza una linea «in piena continuità» con il governo Draghi, e in piena sintonia con il resto dell'Occidente. «L'Ue deve restare unita nel sostegno all'Ucraina contro l'aggressione russa», dice la premier confermando il sì alle armi e alle sanzioni contro Mosca: «Non cambiamo idea ora che siamo al governo: la pace deve essere giusta». E Crosetto ricorda come «la storia europea sia cambiata» nel momento in cui «Zelensky si è rifiutato di scappare da Kiev» e ha chiesto invece aiuto all'Occidente per resistere all'aggressione russa: «Se ci fossimo sottratti, ci saremmo messi fuori dall'Occidente».

Dietro le quinte, intanto, maggioranza e opposizione, con la regia di Crosetto e l'avallo di Palazzo Chigi, lavorano all'intesa: il Pd presenta una risoluzione condita di richieste di conferenze di pace (per tener buona la sinistra filo-grillina e i catto-pacifisti) ma che ribadisce pieno sostegno all'invio di aiuti militari, il Terzo Polo idem. Il governo dà parere favorevole, maggioranza e opposizione (con l'eccezione di M5s e partitino rossoverde) votano insieme sui rispettivi testi, che passano a stragrande maggioranza. «Bene che Meloni vada al Consiglio Ue forte di una condivisione la più larga possibile, sapendo che sta facendo l'interesse dell'Italia, dell'Ue e del popolo ucraino, ovvero l'interesse dei diritti dell'uomo», chiosa Enrico Letta. «Così vincono i valori europei, contro l'aggressione e la morte che la Russia sta portando». Mentre il dem Enrico Borghi attacca duramente Conte, ricordando che chiedere lo stop agli aiuti alla difesa ucraina è «un favore a Putin», e che chi «da premier aumentò la spesa militare e oggi ci fa la morale sul pacifismo ha un'unica cifra morale: l'etica dell'opportunismo».

A Conte - che, dimentico di quando obbediva a Trump, accusa in aula tutti gli altri di «acquiescenza agli Usa» - non riesce il giochino di spaccare il Pd, che «in un sussulto di dignità rigetta il

finto pacifismo che occhieggia a Putin», come nota Lella Paita di Iv. Solo dalla Lega, col salviniano Romeo, arriva qualche malpancismo contro «l'atlantismo acritico» del premier. Ma poi anche il Carroccio si adegua nel voto.

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