Bruxelles - Veronique Loute ha «perso» un figlio, forse per sempre. Il suo Samy, 24 anni, nato a Bruxelles, è partito nel 2012 per la Siria. Da allora combatte in nome di Allah e della guerra santa. Padre di origine ivoriano e madre belga sono ambedue cattolici. Samy, che tutti ricordano come «un ragazzo calmo e rispettoso» si converte all'Islam da adolescente. I cattivi maestri annidati nei quartieri jihadisti di Bruxelles lo incantano con il Jihad. Pochi mesi dopo la partenza si fa riprendere in un video al grido «Allah o Akbar», Dio è grande (guarda la video-intervista).
Suo figlio come è partito per la guerra santa?
«Samy è andato in Siria nel 2012. Un venerdì sera ero io che dovevo partire per qualche giorno. Mi ha chiesto solo di prendere un caffè assieme. In stazione ci siamo abbracciati e gli ho detto ci vediamo presto. Non sapevo che era finita. Quando sono tornata non c'era più. Era partito per la Siria via Turchia».
Si era convertito?
«Sì, a 14 anni. Aveva dei conoscenti musulmani nel quartiere di Bruxelles dove abito».
Cosa lo ha convinto ad una scelta così estrema, come la guerra in Siria, a poco più di vent'anni?
«Forse lo ha ammaliato un reclutatore raccontandogli come si stava bene in Siria. Non lo so, ma ogni giorno me lo chiedo. Non me lo ha mai voluto spiegare. Penso che avesse dei contatti con sheik Bassam (Bassam al Ayachi, ndr), che predicava a Molenbeek (comune di Bruxelles dove è nata la cellula del terrore di Parigi, ndr). Dopo la chiusura della moschea decisa dalle autorità è partito per la Siria con il figlio, dove ha fondato una brigata combattente. Un giorno Samy è tornato a casa e riferendosi a sheik Bassam ha detto: Mamma i suoi sermoni sono magnifici».
Cosa sa ora di suo figlio?
«Non ricevo sue notizie dall'agosto dello scorso anno. L'ultima volta che l'ho sentito sosteneva che non poteva parlare perché c'erano i droni. Chi rispondeva al telefono veniva colpito. Non voglio saltare per aria mi ha detto. Parlare è troppo pericoloso. Penso che sia con Daesh (lo Stato islamico, ndr), ma non sono in grado di giurarlo. Potrebbe anche far parte di Al Nusra, la costola di Al Qaeda».
In Siria si è sposato?
«Dopo una battaglia il capo della brigata gli ha offerto una donna. Nel 2013 mi ha detto che si sarebbe sposato con lei in Siria».
Le ha mandato delle foto?
«Mai. Però è stato ripreso in un video di propaganda che trovate su Youtube (in mimetica e kalashnikov, ndr)».
Pensa che suo figlio sia ancora vivo?
«In Belgio c'è chi tiene un elenco aggiornato di quelli che muoiono in Siria. Mio figlio non c'è, ma di lui non so più nulla».
Cosa spera per Samy?
«Che un giorno rinsavisca e decida di tornare a casa. Più passano gli anni, meno è probabile che accada. In ogni caso dovrà andare in prigione, ma bisogna riflettere come, anche per gli altri giovani che sono partiti. In carcere devono far parte di un programma di deradicalizzazione. Bisogna fare un lavoro psicologico per fargli cambiare la visione che hanno del mondo».
Perché ha fondato con altri un'associazione per cercare di salvare i mujaheddin come Samy?
«Per non sentirci soli davanti alla perdita dei nostri figli. Da due genitori siamo diventati 40. Ci aiutano psicologi, avvocati, diversi specialisti per elaborare lo stress. La nostra testimonianza nelle scuole, nei centri giovanili servono ad impedire che altri giovani partano per la Siria».
Non avete mai pensato di andare a recuperare i vostri figli?
«È difficilissimo. Alla frontiera turca ci sono uomini del governo belga, se dei ragazzi vogliono rientrare. Ma come ci arrivano? Lavoriamo con delle associazioni siriane che aiutano chi vuole scappare. C'è ancora tanto da fare in questa direzione».
Cosa ha pensato dopo gli attentati di Bruxelles?
«Ho solo sperato che non sia stato mio figlio».
Samy
l'ha abbandonata. Lo perdonerebbe?«Se non ha ucciso o compiuto attentati, ma non me lo direbbe mai, potrei anche perdonarlo. Prima, però, deve passare per il carcere».
(ha collaborato Giovanni Masini)
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