Salvini tra accuse e ovazioni. Dalla sfiducia degli alleati alla vittoria sui "draghisti"

Si riapre il fronte interno nella Lega, Matteo argina le pressioni da Chigi. Un deputato: "Dai nostri messaggi di insulti"

Salvini tra accuse e ovazioni. Dalla sfiducia degli alleati alla vittoria sui "draghisti"

«Dai nostri arrivano messaggini di fuoco. I più educati ci rinfacciano di aver messo ancora una volta al Quirinale uno del Pd, dopo aver promesso il contrario. Di aver perso una settimana senza portare poi a casa niente. Per non dire degli insulti...» racconta un deputato leghista (sotto rigoroso anonimato). Il flop di Salvini nel ruolo di king maker del centrodestra, con la serie di candidati bruciati e il ripiegamento finale su Mattarella, provoca nuove crepe nel Carroccio (e critiche dagli alleati Berlusconi, Meloni e dal vecchio Bossi). Giorgetti, il punto di riferimento dell'area governista del partito, quella che ha provato a convincere Salvini a intestarsi l'operazione Draghi al Colle, è nuovamente in fibrillazione. Per qualche ora ieri si è parlato delle sue imminenti dimissioni da ministro, non smentite dal diretto interessato ma anzi alimentate da una frase sibillina («Io via? È una ipotesi, magari c'è da migliorare la squadra. Qualcuno resta al Colle, io torno a casa...»). Poi Giorgetti ha chiarito che il cambiamento a cui faceva riferimento non è un rimpasto di governo, ma una «taratura» e un nuovo «codice di comportamento tra gli alleati della maggioranza». In settimana lui e Salvini hanno chiesto un incontro con Draghi, l'obiettivo è ottenere che il governo «faccia più squadra». La Lega teme che il tutti contro tutti andato in scena sul Quirinale si sposti sul governo, paralizzandolo. Di fronte c'è l'ultimo anno di legislatura e in prospettiva una campagna elettorale, con Salvini che soffre la concorrenza interna della Meloni all'opposizione.

Il ministro, come pure i governatori Zaia e Fedriga, sono stati tenuti ai margini della trattativa da Salvini che si è mosso per conto suo, confidandosi con i pochi della sua cerchia ristretta. L'esito è considerato un fallimento. «Mattarella poteva andare anche bene, ma non così, non al settimo giorno, diventa difficile spiegarlo poi ai nostri elettori» raccontano nella Lega. Salvini ai parlamentari leghisti (che comunque lo hanno accolto con una ovazione, riconoscendogli il coraggio di aver messo la faccia in una partita difficile) ha detto che, arrivati in un vicolo cieco, tanto valeva intestarsi Mattarella (cui dopo l'elezione ha fatto una «telefonata di gratitudine»). Il leader non risparmia accuse a Forza Italia per i voti mancati alla Casellati e per la decisione degli azzurri di trattare da soli («Così mi hanno delegittimato»). Aveva provato con la Belloni («Me l'hanno proposta Letta e Conte, ma poi Letta ha cambiato idea» racconta), prima ancora aveva tentato la carta Casini, trovando però resistenze nel partito (e negli alleati, la Meloni). Ma c'è un altro fronte interno che Salvini ha dovuto tenere sotto controllo, e che alla fine lo ha fatto virare su Mattarella. E cioè il pressing telefonico del premier Draghi su Giorgetti e i governatori leghisti. Lo racconta il leghista Rixi: «L'unica cosa per cui avrei preferito Casini era la sua posizione sulla giustizia. Ma con il premier che faceva incursioni da noi non potevamo reggere. Il centrodestra? In realtà solo Berlusconi poteva guidarlo con il suo potere economico. Non so se non valga la pena a questo punto fare una riflessione sul proporzionale». Sull'ipotesi rimpasto Salvini non chiude: «Non lo so, ne parleremo con Draghi.

Meglio che al governo ci sia una squadra compatta, se qualcuno non ha voglia di lavorare o ha voglia di distruggere bisogna essere coscienti e coerenti». Non è un mistero che la Lega chieda la testa della Lamorgese. Ma se Salvini non ci era riuscito prima, difficile lo ottenga ora, indebolito dalla vicenda Quirinale.

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