Gli «schiavi» e un attacco pretestuoso

di Gian Micalessin

O ci fanno o ci sono. Ma visto che dalla decolonizzazione in poi si son dimostrati assai abili nello sfruttare le contraddizioni europee vien da pensare che i rappresentanti dell'Unione africana (Ua) ci facciano eccome. Il comunicato con cui si dichiarano «sgomenti» e pretendono le scuse da un Matteo Salvini colpevole di paragonare gli «immigrati africani a schiavi» è un capolavoro di fraintendimento artefatto o pilotato. Alla seconda ipotesi sembra pensare anche il nostro ministro che allude - tra il serio e il faceto - a un malinteso nato da una «traduzione francese». Siamo al terzo atto della polemica con il ministro degli Esteri lussemburghese Jean Asselborn iniziata al vertice europeo di Vienna dove Asselborn invocava l'arrivo di più migranti «perché stiamo invecchiando». Parole a cui Salvini replicava spiegando di non voler «nuovi schiavi». Chiunque capirebbe che non parlava di schiavi in senso «sprezzante», come fa intendere l'Ua, ma denunciava la falsità di chi li attira per trasformali in manodopera a basso costo per sfruttatori spregiudicati. E gli africani in buona fede, a differenza dei capi Ua, avrebbero ben più serie ragioni per cui scandalizzarsi. Prima fra tutte la corruzione dei loro leader che, pur di accaparrarsi i miliardi dispensati sotto forma di prestiti dalla Cina, accettano patti scellerati, impegnando le loro risorse per i prossimi decenni e permettono che le aziende cinesi impieghino non solo i propri macchinari, ma anche i propri lavoratori. Così mentre la manodopera cinese si trasferisce in Africa centinaia di migliaia di africani devono abbandonare i propri Paesi perché per loro il lavoro non c'è più. Un caso da studio è quello del Senegal. Nonostante il Paese abbia registrato nel 2017 un aumento del Pil del 6,7% migliaia di giovani continuano a tentare l'avventura sui barconi della morte libici. Questo perché, con l'arrivo nel 2012 dei capitali cinesi, il Pil è decollato, ma la disoccupazione è lievitata dal 10,2 al 15,7%. Ed è così che i senegalesi si ritrovano alla mercé di trafficanti di uomini e sfruttatori.

Da quelli dei campi di pomodoro pugliesi e delle cooperative di Mafia Capitale fino a quelli seduti ai vertici delle multinazionali con sede nelle liberali democrazie del Nord Europa. Questo intendeva Salvini. Ma al mondo non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire.

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