Questa volta il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano, l'ha sparata davvero grossa: Dante Alighieri, il sommo poeta, è di destra. E se, invece, avesse ragione lui? Sì, perché «il maschio poeta nazionale d'Italia», come dice non il ministro ma uno dei suoi autori preferiti, Giuseppe Prezzolini riecheggiando altri versi, di certo non lo si può collocare a sinistra. Al ministro è scappato il piede sull'accelleratore, ma resta il fatto che il poeta che fu soldato a Campaldino contro i ghibellini d'Arezzo, che fu sì guelfo ma a papa Bonifacio VIII e alla sua teocrazia non le mandava a dire, che aveva come ideale politico nientemeno che l'istituto monarchico-imperiale è né più né meno il padre della nostra lingua e della nostra letteratura attraverso le cui opere passa la bella umanità del nostro pensiero risorgimentale. E la Commedia che Boccaccio volle definir divina? Ha in sé il mondo cristiano e il mondo pagano ma uniti e sanati, ecco perché è un poema non medievale ma universale in cui Cristo è detto Giove, Catone suicida è a guardia del Purgatorio, Ulisse è l'eroe del rischio dell'anima per sete di conoscenza, mentre Paolo e Francesca ci commuovono ogni volta perché in quell'amore vediamo le nostre passioni e le loro dolci illusioni. Allora s'intende ciò che ha voluto dire Gennaro Sangiuliano: liberiamo la cultura italiana e riconosciamole tutto il valore che ha che è, insieme, nazionale ed europeo, patriottico e universale: «Non voglio sostituire l'egemonia di sinistra con l'egemonia di destra ma affermare l'egemonia italiana». Forse, la parola egemonia non è felice e risente della «egemonia marxista» «che nel pensier rinnova la paura» ma appare evidente ciò che il ministro intende dire: riscopriamo il valore della cultura italiana perché è proprio nell'indipendenza della cultura che nasce la libertà di un popolo. E cosa è stato Dante se non un grande poeta che ha fustigato i falsi «litterati», come dice nel Convivio, e che ha iniziato il suo trattato Monarchia proprio criticando aspramente i falsi intellettuali? La cultura italiana, che per tanto tempo è stata concepita organica al Partito che per Gramsci era il moderno principe, ha così disperato bisogno di ritrovare indipendenza e valore di giudizio che pensando a Dante e al suo esilio si potrebbero ripetere i suoi stessi versi che Croce volle in epigrafe alla sua Storia d'Europa: «Pur mo venian li tuoi pensieri tra i miei/ con simile atto e con simile faccia,/ sì che d'entrambi un sol consiglio fei».
L'idea del ministro è semplice quanto condivisibile, anche se va presa con il senso delle proporzioni (700 anni fa destra e sinistra non esistevano naturalmente...): la destra è la custode della cultura nazionale e Dante è per tutti noi, come voleva giustamente Francesco De Sanctis, il padre.
È talmente preziosa questa idea che dentro c'è la critica stessa degli italiani perché Dante più che un arci-italiano è un anti-italiano che ha in odio la doppia verità, la retorica, la pavidità ed è un padre che con poesia e cultura ci indica la «diritta via» per uscire dalla «selva oscura» nella quale sempre siamo. Per tanto tempo la cultura italiana è stata o politicizzata o sterilizzata, è tempo di uscir a «riveder le stelle», è tempo di liberarla e riconoscere il suo alto valore civile.
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