Da sette anni dietro le sbarre solo per non essersi convertita

Tutto cominciò da un sorso d'acqua bevuto dal bicchiere di una musulmana

Da sette anni dietro le sbarre solo per non essersi convertita

Il suo vero nome è Aasiyah Nauriin Bibi, ma per il mondo è semplicemente Asia Bibi. Intorno al suo nome alberga da oltre 7 anni l'odio dell'Islam radicale. Un odio così sfacciato, così crudele da superare la ferocia animale. E a placarlo non basta, di questi giorni, neppure il sangue dei martiri cristiani massacrati da un kamikaze la domenica di Pasqua nel parco giochi di Gulshan-e-Iqbal a Lahore. Mentre i bimbi, le donne e i padri cristiani vittime di quella strage infame continuano a morire le bestie dell'Islam più intransigente continuano ad affollare le piazze del Pakistan, ad invocare l'impiccagione di Asia Bibi, la 45enne donna cattolica condannata a morte sei anni fa nel nome di quella legge pakistana sulla blasfemia conosciuta come la «legge nera».

Il dramma, l'odissea giudiziaria di questa donna cristiana iniziano nel giugno 2009 intorno al villaggio di Ittanwalai. Asia Bibi, suo marito Ashiq Masih e i loro figli sono l'unica famiglia cristiana del villaggio e per questo subiscono, da anni, gli insulti, le accuse, le angherie dei vicini musulmani. Ma il peggio arriva durante una raccolta di frutti di bosco intorno al villaggio. Quel giorno, mentre insulti e minacce si fanno sempre più pesanti, Asia Bibi l'infedele, la «kafira», viene presa in giro, invitata a convertirsi, costretta a portar acqua alle altre donne. Le prepotenze superano il segno quando Bibi beve un sorso dallo stesso bicchiere usato dalle altre musulmane. In un attimo la kafira, l'infedele, si ritrova circondata, accusata d'inquinare l'acqua con la sua bocca impura, invitata a rinnegare la propria fede e scegliere quella del Profeta. E così dalle sue labbra escono le parole che le saranno fatali. «Mi chiedete di convertimi, ma io credo nella mia religione e in Gesù Cristo morto sulla croce per i peccati del genere umano. Cos'ha fatto il vostro Profeta Maometto per salvare il genere umano?».

Il 19 giugno una folla inferocita entra nella sua casa, la rapisce, la consegna allo stupro di una banda di uomini. Salvata dalla polizia Asia Bibi si ritrova sbattuta in una cella accusata di aver insultato il Profeta. Da quel momento precipita nell'abisso della «legge nera», la legge da cui non ci si può difendere, la legge che in base al famigerato articolo 295c - introdotto nel 1986 - può portare al patibolo qualsiasi infedele sospettato d'offendere Allah, Maometto o il Corano. Una legge pretestuosa, una legge usata per incriminare, imprigionare, abbandonare al linciaggio i cristiani e i loro protettori. Una legge che il 10 novembre 2010 consente al giudice d'un tribunale del distretto di Sheikhupura di condannarla all'impiccagione tra le urla eccitate di una folla inneggiante ad Allah e Maometto. Da quel momento Asia Bibi si ritrova sepolta viva nel carcere femminile di Multan, reclusa in una cella senza finestre di due metri e mezzo per tre, prigioniera di un sacello oscuro da cui non può uscire per non venir linciata, si dice, dalle altre detenute.

Da allora Asia Bibi, prima donna condannata a morte per blasfemia, assiste impotente alla ventata d'odio che investe chiunque tenti di salvarla. Il primo a cadere è Salmaan Taseer, il governatore del Punjiab che sconcertato per quell'iniqua condanna le fa visita in carcere chiedendo la revisione del processo e l'abolizione della «legge nera». A chiuder la bocca a quel musulmano poco disposto a condividere l'odio dei correligionari ci pensa - il 4 gennaio 2011 - Malik Hussein Quadri, una guardia del corpo mandata ad ammazzare, a colpi di kalashinikov, il governatore che dovrebbe proteggere. La notizia diventa una seconda condanna a morte per Asia Bibi che per settimane piange sconsolata la morte dell'unico musulmano pronto a prendere le sue parti. Ma non basta. Il 2 marzo 2011 cade sotto i colpi di un commando di terroristi islamici Shahbaz Bhatti, il ministro cristiano delle minoranze portabandiera di altre inutili battaglie per ottenere la revisione del processo di Asia Bibi. In questo crescendo di odio e violenze sono ormai passati sette anni. Sette anni durante i quali la Corte Suprema ha decretato la legittimità del suo ricorso.

Sette anni durante i quali la tanto attesa revisione del processo è stata regolarmente rinviata. Sette anni scanditi dal sinistro sottofondo degli «Allah Akbar» con cui le folle musulmane continuano ad invocare l'uccisione di un'innocente donna cristiana. Una donna da impiccare nel nome di Allah e del suo Profeta.

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica