L'ennesima scadenza entro cui Londra e Bruxelles avrebbero dovuto concordare il futuro dei loro interscambi economici è passata, l'ennesimo rinvio è stato il solo risultato su cui entrambi le parti si sono trovate d'accordo. E ciò che qualche giorno fa è cominciato a circolare come facezia, le trattative andranno avanti a fino anno, sta diventando uno scenario possibile. Se non ci fosse il tempo per far approvare l'accordo dal Parlamento europeo, riporta Reuters citando diplomatici dell'Unione, si potrebbe pensare a un (eventuale) accordo con applicazione immediata, temporanea, in attesa di una ratifica ex-post. Un ottimo diversivo per rallegrare un san Silvestro che quest'anno si annuncia mogio.
Nei prossimi giorni, quindi, le negoziazioni continueranno. Il fatto che Johnson e von der Leyen abbiano deciso di continuare a parlarsi può avere una duplice lettura. Gli ottimisti sottolineeranno che la trattativa è ancora in corso e la porta rimane aperta, un accordo a portata di mano se solo le parti decidessero - ciascuna - di fare delle concessioni. Finché c'è vita c'è speranza, ha commentato ieri Johnson, cui l'ottimismo non fa difetto ma nemmeno una certa propensione allo scherno. Ed è difficile dire se stavolta sieda tra i possibilisti o tra chi invece legge il risultato dell'incontro di ieri come l'ultima puntata del gioco in corso per non finire incolpati del fallimento delle trattative. E delle conseguenze economiche, politiche, storiche che si porta appresso.
Le notizie sulle ultime posizioni raggiunte dalle squadre negoziali lasciano forse ben sperare: l'Ue avrebbe abbandonato la richiesta che entrambe le parti abbiano lo stesso quadro normativo in materia di competizione economica (standard ambientali, sussidi, diritti dei lavoratori): quello che importa è il meccanismo di salvaguardia nel caso eventuali divergenze inglesi comportino un consistente vantaggio economico. E anche qui il compromesso europeo pare essere considerevole: non più misure ritorsive definite autonomamente da Bruxelles, come richiesto in passato, ma tariffe correttive concordate da un organismo bilaterale e un eventuale arbitrato di un organo terzo. Londra vedrebbe la sua indipendenza dall'Ue riconosciuta, teme solo l'intensità delle misure e la possibilità di colpire settori diversi rispetto a quelli in cui si è concretizzato il vantaggio competitivo.
E la pesca? Rimangono le distanze, ma si dovesse arrivare a un compromesso sulla concorrenza, incancrenirsi su un settore economicamente irrisorio ma politicamente centrale, specie in Francia con le elezioni politiche alle porte sarebbe irresponsabile. Londra ha fatto sapere che la Royal Navy è pronta a contribuire al pattugliamento delle acque territoriali, con 4 unità della flotta, fuochi d'artificio propagandistici contro cui molti della stessa maggioranza conservatrice si sono scagliati. E ha invitato la grande distribuzione a fare scorte di cibo e altri prodotti essenziali in previsione di difficoltà di approvvigionamento a seguito di un No Deal. Indicazioni che sono una goccia nell'oceano di incertezza in cui stanno navigando le imprese inglesi che non sanno se e con che tariffe potranno esportare le loro merci in Europa fra 18 giorni.
Una situazione ancora più grave se vista dall'Irlanda, il Paese di gran lunga più esposto da un mancato accordo, considerando che il suo primo mercato di esportazione è proprio Londra: «Sarebbe un enorme fallimento politico» se non venisse raggiunto un accordo commerciale post-Brexit, ha detto il ministro degli Esteri irlandese Simon Coveney.
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