Tanti anni fa, dalla Caserma Perrucchetti di Milano uscivano colonne di carri armati in assetto da combattimento. Sì, carri armati: dieci, quindici, anche venti che, con i militari in torretta vestiti in mimetica, attraversavano mezza città, passando anche davanti allo stadio di San Siro che allora aveva ancora due anelli e non si chiamava Meazza, per andare nei campi di addestramento militare che stavano tra le campagne.
Una scena che si ripeteva un paio di volte al mese, tra lo stupore dei bambini che sbirciavano un po' impauriti da dietro i vetri che traballavano per le vibrazioni e la scocciatura di chi in auto veniva fermato per dare strada alla colonna. Oggi, nella Caserma Perrucchetti, i carri armati non ci sono più. È operativa, ma in un altro modo. Nelle settimane scorse è stata uno dei centri per la distribuzione dei vaccini anti-influenzali ai milanesi e molti dei suoi uomini sono impegnati da qualche tempo ormai nell'operazione «Strade Sicure» per dare un po' di tranquillità a chi vive nei quartieri più balordi.
C'erano una volta i militari che facevano la guerra, ci sono oggi i militari che, oltre che andare in missione in zone dove si combatte davvero, fanno anche tante altre cose. E gli italiani se ne stanno accorgendo proprio in questi tempi di coronavirus: ci hanno messo un attimo a capire quanto fosse essenziale una struttura gerarchica e di comando per gestire l'emergenza. E così un Paese, smarrito tra l'ansia del contagio e la confusione di dpcm e ordinanze che spesso dicevano (dicono) tutto e il contrario di tutto, è tornato ad apprezzare la semplicità di una catena dove c'è chi dà gli ordini e chi li esegue. Funziona così, nell'Esercito. Per fortuna funziona ancora così, viene da dire...
Oggi ci sono soldati ai check-point per fare i tamponi rapidi, ci sono soldati e medici militari nelle corsie, ci sono soldati che, in un paio di giorni, dalla Lombardia alla Basilicata all'Umbria, hanno allestito ospedali da campo con tanto di terapie intensive. Ci sono carabinieri (e anche loro sono soldati) che il giorno di Natale a Bologna lo hanno passato con un nonno di 94 anni che li aveva chiamati perché si sentiva davvero troppo solo o che, fermando a un posto di blocco un disperato che erano giorni che non mangiava, gli hanno pagato la cena. E poi ci sono soldati che, proprio in queste ore, scortano le dosi di vaccino per farle arrivare a destinazione.
L'Esercito c'è ed è diventato un'altra cosa. Dimenticati i «marmittoni» che finivano in divisa perché non sapevano cosa fare, oggi la leva che non c'è più si sceglie come mestiere che è sempre più una professione. Con buona pace di chi, quasi sempre schierato a sinistra, a un certo mondo per principio, e forse per pregiudizio, è ostile sempre e comunque. L'amor di patria, la divisa, l'alzabandiera, il senso delle istituzioni, il rispetto sono concetti antichi che oggi non è facile far capire. Così come non è semplice spiegare che per far bene e velocemente una cosa, o semplicemente per farla, l'organizzazione degli uomini in divisa è quasi sempre la via più veloce.
C'erano una volta i soldati che facevano la guerra poi hanno cambiato pelle e sono diventati militari impegnati nelle operazioni di peacekeeping, cioè in missioni di pace. Che è un'altra cosa, ma che forse detto in inglese non in tanti l'avevano capito. Ci voleva il coronavirus per farlo sapere a tutti.
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