Mentre centinaia di migliaia di artigiani, lavoratori privati, autonomi e imprenditori rischiano di perdere il loro reddito o già l'hanno perso causa pandemia, i dipendenti pubblici da marzo ad oggi non hanno minimamente sacrificato il loro tenore di vita. Anzi, lo stipendio al 100% lo ricevono stando a casa, in smart working, che per più di mezzo milione di loro equivale a ferie pagate perchè le mansioni non si possono svolgere se non in presenza (numeri del ministero della Funzione Pubblica). Eppure, nonostante l'enorme privilegio che godono rispetto agli altri lavoratori, i sindacati del settore pubblico stanno combattendo da mesi una battaglia surreale, quella per ottenere i buoni pasto per gli statali che in ufficio, e quindi in pausa pranzo, non ci vanno neppure. Il ministero, con una circolare di aprile, ha chiarito che «il personale della Pa in smart working non ha un automatico diritto al buono pasto». Ma i sindacati Fp Cgil, Cisl Fp e Uil Pa non si sono dati per vinti. «L'indennità sostitutiva del servizio mensa, oggi conosciuta più semplicemente come buono pasto, è un diritto previsto dal contratto e quindi noi lo rivendichiamo, anche in virtù del principio di non discriminazione verso i lavoratori agili (quelli a casa, ndr)» tuonano i tre sindacati del settore pubblico. E non è neppure l'unica rivendicazione che fanno, in piena emergenza economica e pandemica. Come ha raccontato Quarta Repubblica di Nicola Porro, oltre al buono pasto per chi non va in ufficio i sindacati degli statali chiedono altri privilegi: l'indennità informatica, cioè soldi in più in busta paga per il fastidio di dover usare il computer e telefono personale per lavorare, e poi il «diritto alla disconnessione», in pratica la facoltà di non rispondere più a mail e telefonate appena scatta il fantozziano orario di fine giornata. La giurisprudenza però dà torto ai sindacalisti. Il Tribunale di Venezia ha rigettato il ricorso di alcuni dipendenti del Comune che aveva negato loro il ticket. Le motivazioni della sentenza poggiano su due punti. Primo, il lavoratore a casa non ha un orario organizzato nè una pausa pranzo vera e propria, quindi viene meno il presupposto.
Secondo, il ticket rappresenta un benefit e non un elemento della retribuzione. Quindi, gli statali si dovranno accontentare del 100% dello stipendio, da casa, mentre tutti gli altri rischiano cassa integrazione o disoccupazione. Basterà ai sindacati?
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