L'esito, tutto sommato, era scontato. Non per quello che è emerso al processo in cinque anni di udienze, oltre 200 testimoni e montagne di carte, ma per la sua valenza politica, legata anche al momento storico. E così, nel mezzo delle trattative per il governo, non poteva che essere di condanna la sentenza sulla presunta (lo è tuttora, quello di ieri è solo il primo grado) trattativa Stato-mafia: condannati i boss, quelli sopravvissuti (Totò Riina e Bernardo Provenzano sono morti in corso di processo); condannati i vertici dei carabinieri del Ros, generali Mario Mori e Antonio Subranni e il colonnello Giuseppe De Donno; condannato il teste chiave poi caduto in disgrazia, quel Massimo Ciancimino che con le sue dichiarazioni e le sue carte vere o taroccate ha scoperchiato il pentolone della trattativa ma è stato stangato, 8 anni, per calunnia a Gianni De Gennaro. E poi i politici: condannato l'ex senatore Pdl Marcello Dell'Utri, che con questi 12 anni aggiunti ai sette che sta già scontando può probabilmente dire addio alla speranza di essere scarcerato in tempi brevi anche se è malato; unico assolto, dall'accusa di falsa testimonianza, l'ex presidente del Senato Nicola Mancino.
Sin qui gli imputati, quelli veri. Già, perché in questo processo fiume ci sono anche i convitati di pietra non imputati ma di riflesso condannati o assolti. Primo assolto virtuale, Giorgio Napolitano, trascinato a testimoniare mentre era capo dello Stato in carica, spiato al telefono con Mancino (memorabile lo scontro istituzionale per imporre la distruzione di quelle intercettazioni) e adesso assolto per non aver commesso il fatto. Anche Sergio Mattarella, nel '92 vicepresidente della Dc, era stato chiamato come teste a difesa da Mancino. Ma un anno fa la corte d'Assise aveva rinunciato ala sua testimonianza. E adesso, con l'assoluzione dell'ex presidente del Senato, si spazza via ogni ombra sulla nomina di Mancino al ministero dell'Interno, a luglio del '92, al posto di Vincenzo Scotti. I capi dello Stato, ex e in carica, sono salvi.
L'altro convitato di pietra non imputato è Silvio Berlusconi. Che al massimo dovrebbe essere una vittima visto che Dell'Utri è stato ritenuto colpevole di minaccia o violenza a corpo politico dello Stato, il reato contestato a tutti, «limitatamente alle condotte contestate come commesse dei confronti del governo presieduto da Silvio Berlusconi». E invece passa per condannato. E non era neppure imputato.
La trattativa tra lo Stato e i boss per fermare le stragi ci fu, dice la sentenza. Ma mai come questa volta sarà importante leggere attentamente le motivazioni. Il dispositivo infatti fissa due anni: il 1994, per Dell'Utri; e il 1993 per i carabinieri del Ros. Mori, Subranni e De Donno, infatti, sono condannati «limitatamente alle condotte contestate come commesse sino al 1993». Dunque ci sono le stragi del '92, la trattativa 1, condotta dal Ros sino al '93. E la poi trattativa 2, condotta da Dell'Utri del '94 per fare pressioni su Berlusconi premier. E in mezzo? Non proprio dettagli, in quel '93: le bombe di mafia di Roma, Milano, Firenze, le pressioni dei familiari dei boss per alleggerire il 41 bis, il carcere duro, poi effettivamente tolto a 300 mafiosi dall'allora Guardasigilli Giovanni Conso. Sarà tutta da leggere, la sentenza. Scansione temporale della trattativa inclusa, che sembra glissare sul governo di centrosinistra presieduto in quel '93 da Carlo Azeglio Ciampi.
La presunta trattativa Stato-mafia per fermare le stragi del '92 ci fu, dice la sentenza. E il «presunta», è doveroso tenerlo, a dispetto di quello che dice il «padre» del processo, l'ex pm Antonio Ingroia che parla di «sentenza storica». È presunta, e non solo perché si tratta di una sentenza di primo grado. Ci sono infatti ben «quattro sentenze definitive», ricorda l'avvocato del generale Mori, Basilio Milio, che commenta amaro, ricordando che alla difesa sono stati rigettati ben 200 testimoni: «Questo è stato un pregiudizio». In barba al «ne bis in idem», Mori è già stato processato, e assolto in via definitiva dalla Cassazione, per la mancata perquisizione del covo di Totò Riina e per la mancata cattura nel 1995 di Bernardo Provenzano. La sentenza di ieri si ferma al '93. Ma nel processo su Provenzano, che dovrebbe riguardare fatti del '95, in realtà ci sono anche quelli.
C'è un'altra assoluzione che incombe su chi esulta per le condanne per la trattativa.
Ed è quella che ha assolto l'ex ministro Dc Calogero Mannino. Mannino ha scelto l'abbreviato. E a novembre del 2015 è stato appunto assolto, l'appello è appena cominciato. Macigni. Che peseranno nei successivi gradi di giudizio.
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