Sono fra i più bassi d'Europa e continuano a ascendere. Anzi, a precipitare in rapporto gli altri. Meno 2,9 per cento: è il dato drammatico che riassume il declino dei salari medi italiani. Meno 2,9 per cento nell'arco di un trentennio, fra il 1990 e il 2020, come documenta una ricerca di Openpolis.
Gli stipendi fra Milano e Roma erano in una fascia mediana alla fine del secolo scorso. Oggi molti Paesi che erano indietro hanno messo la freccia e ci hanno superato. Siamo scivolati dal settimo al tredicesimo posto, superati da Irlanda, Spagna, Francia, Svezia ma quel che più colpisce è quel segno meno, un caso unico fra i nostri partner, fra il 1990 e il 2020.
In Germania, che già era nella pattuglia di testa, le retribuzioni sono cresciute del 33,7 per cento e in Francia del 31,1. Molti Paesi dell'ex blocco sovietico hanno visto raddoppiare o anche di più le buste paga; certo laggiù si partiva dalle retrovie di guadagni davvero modesti, ma il trend impressiona e per dirla tutta il nostro sembra un Paese in caduta libera. L'inflazione si è messa a correre e il potere d'acquisto dei lavoratori sta letteralmente evaporando.
Insomma, il tema potrebbe accendere la lunga campagna elettorale che è già partita dietro la safety car del governo Draghi. E i bonus possono solo tamponare le difficoltà delle famiglie che rischiano di finire sott'acqua, insieme a quello che una volta con orgoglio veniva chiamato il ceto medio.
Il benessere diffuso c'è, anche se molto meno di prima, ma se non si inverte il trend potrebbe diventare un ricordo dei nostri padri.
Servono misure urgenti e interventi strutturali, complicati in un Paese affetto da gravi ritardi e che si divide su tutto. «Io credo - afferma in un'intervista a la Stampa il commissario europeo per il Lavoro Nicolas Schmit - che si debba tenere la dinamica dei salari vicino all'aumento globale dei prezzi così da non deprimere la domanda globale». Se non si andasse in questa direzione, lancia l'allarme il commissario, «la domanda crollerebbe e ci ritroveremmo in quello che tutti temono, ovvero nella stagflazione. Molti Paesi, come l'Italia - aggiunge Schmit - hanno preso delle decisioni per mitigare i prezzi. Ma se durerà più a lungo, sarà più difficile».
Insomma, vanno trovate misure in grado di fermare la spirale dei prezzi, dall'energia all'alimentare, e contemporaneamente bisogna lavorare sui fattori di questo progressivo depauperamento del portafoglio di milioni di nostri connazionali.
Nel 2020 il salario medio è stato in Italia pari a 32.700 euro. Troppo pochi. E oggi le bollette assestano picconate alle già fragili certezze.
Sono naturalmente molteplici le cause del ritardo italiano: i gap infrastrutturali, cui dovrebbe porre rimedio il Pnrr, l'incertezza normativa e la soffocante corazza degli adempimenti burocratici. Ma poi c'è chi pensa che la vera strozzatura del sistema produttivo sia nel costo del lavoro e nel cuneo fiscale, pari nel 2021 al 46,5 per cento, il quinto più alto nel club Ocse.
Si discute da anni su questo punto e le ricette si dividono: c'è chi ritiene che la eventuale sforbiciata dovrebbe andare a beneficio delle imprese, zavorrate da mille problematiche, e chi invece vorrebbe dirottarla nelle tasche dei lavoratori, già penalizzati rispetto a quelli dei paesi vicini che hanno saputo fronteggiare meglio le crisi che si sono susseguite fino alla pandemia.
«Utilizziamo almeno parte delle ingenti risorse destinate al reddito di cittadinanza - afferma Licia Ronzulli di Forza Italia - per incidere sulla tassazione del lavoro, così da far aumentare la busta paga riducendo la differenza, attualmente enorme, fra lordo e netto».
Antonio Misiani, responsabile economia del Pd, se la prende invece proprio con Carlo Bonomi: «Sarebbe bello che Confindustria facesse la sua parte invece di attaccare il ministro Andrea Orlando per buttare la palla in tribuna».
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.