Milano. «Rapporto incrinato». Dopo settimane di tensioni crescenti è finito così, ieri sera, il «tira e molla» fra Attilio Fontana e Letizia Moratti. Il chiarimento non c'è, anzi la separazione è consumata, anche se la «sentenza» di divorzio toccherà ai partiti.
A nulla è valso il faccia a faccia convocato ieri a Palazzo Lombardia. Non ha risolto e non poteva risolvere il grumo di incomprensioni venutosi a creare fra il governatore e la sua vice. A nulla è servito, quel vertice, se non a comunicare a Moratti che la fiducia politica fra i due non esiste più. Niente da fare. Il gioco della rivalità si era spinto troppo avanti. E troppo vicine sono, ormai, le Regionali che fra 5 mesi circa, metteranno in palio una «poltrona» cruciale.
Quella poltrona è contesa fra il presidente - che si ricandida - e quella che da meno di due anni è la sua numero due (e assessore alla Salute), che vuol prendere il suo posto. Da lì è nata una tensione che va avanti da mesi. Solo la campagna elettorale ha fatto segnare una tregua. Poi, a spoglio finito, il tira e molla è ripartito, e Fontana ha maturato la convinzione che senza un «chiarimento» fosse impossibile andare avanti. I primi spifferi su una rottura definitiva circolavano già mercoledì. A far precipitare gli eventi, l'ospitata della vicepresidente su Rai 3 giovedì sera. In tv, Moratti ha spiegato di aver accettato di entrare in giunta «per amore» per la Lombardia, ma «con l'impegno parallelo di un passaggio di testimone a fine legislatura». Fontana ha negato di aver promesso la «staffetta» e si è aperto lo «showdown» definitivo.
Il governatore ieri mattina ha fatto sapere di aver «convocato» la vice. L'incontro è iniziato poco dopo le 19, ma nel corso del pomeriggio i vertici leghisti lombardi hanno continuato a chiedere le dimissioni di Moratti. Era il segnale che il dado era già tratto, almeno per il Carroccio. Il vertice, piuttosto nervoso, è durato circa un'ora. Alla fine bocche cucite, poi una dichiarazione tranchant. «Questa sera - ha detto Fontana - ho evidenziato alla vicepresidente, in maniera chiara e inequivocabile, che il nostro rapporto fiduciario, sul piano del posizionamento politico, si è incrinato». Secondo quanto prospettato, il nodo - tutto politico - sarebbe questo: Moratti non vuole escludere l'intenzione di candidarsi contro il centrodestra. Solo il momento delicato è ciò che ha trattenuto Fontana dal ritiro unilaterale delle deleghe. «Essendo io il garante della coalizione in Lombardia e per senso di responsabilità rispetto al momento politico nazionale che stiamo vivendo - ha spiegato - mi riservo di prendere una decisione definitiva dopo un confronto con i leader del centrodestra». I partiti decideranno, anche la candidatura a questo punto.
Moratti non lascia. Anzi, vuole andare a «vedere». «Ho confermato - ha risposto - la coerente disponibilità offerta al centrodestra» (cioè l'idea di candidarsi). «Resto in fiduciosa attesa che si esprimano definitivamente in merito i leader nazionali del centrodestra - ha aggiunto - dopo la formazione del nuovo Governo».
Resta da capire cosa può succedere ora e come la formazione del governo può influire. Moratti ha sempre garantito che la sua iniziativa sta nell'alveo del centrodestra.
Nel frattempo è stata accreditata l'idea che possa candidarsi comunque, a costo di far perdere Fontana. Ma con chi? Un pezzo di Pd non la vorrebbe mai, e lo dice. Resta il Terzo polo, che è andato benino, ma non abbastanza per vincere. Un ministero di peso (la sanità?) potrebbe convincere la «Lady di ferro» a desistere?
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