La stretta del governo: via il microfono ai pm. Inutili 6 processi su 10

Il Cdm frena il protagonismo delle procure: conferenze solo se strettamente necessarie

La stretta del governo: via il microfono ai pm. Inutili 6 processi su 10

A pochi giorni dalla riforma del processo penale il governo interviene di nuovo sulla giustizia, questa volta con una stretta al clamore mediatico consentito ai magistrati e alla polizia giudiziaria. Il Consiglio dei ministri approva il decreto legislativo che di fatto mette un freno alle conferenze stampa delle Procure - e delle forze dell'ordine - su indagini e arresti. Saranno giustificate solo nel caso di inchieste di «particolare rilevanza pubblica» o «quando strettamente necessarie per la prosecuzione delle indagini», e comunque appannaggio del solo procuratore capo, non dei sostituti benché titolari dei fascicoli. Il decreto legislativo attua una direttiva europea del 2016 sulla presunzione d'innocenza, che l'Italia aveva recepito a marzo. Mancava però il decreto legislativo, sollecitato in via prioritaria da un emendamento del deputato Enrico Costa, responsabile Giustizia di Azione. Spetterà dunque solo al procuratore valutare la «rilevanza pubblica» dell'inchiesta che giustifichi la conferenza stampa o altre comunicazioni. Non solo, il provvedimento dispone che anche la polizia giudiziaria che svolge le indagini ed esegue gli arresti debba avere l'autorizzazione del procuratore capo per eventuali comunicazioni. Il testo contiene anche un rafforzamento - come chiede la direttiva europea - del principio di presunzione d'innocenza da applicare alla comunicazione. Vieta a tutte «le autorità pubbliche», di indicare come colpevole l'indagato fino a sentenza definitiva, con impliciti paletti sulla continenza verbale a cui attenersi: «Le informazioni sono fornite in modo da assicurare, in ogni caso, il diritto a non essere indicati come colpevoli fino a sentenza o decreto penale di condanna irrevocabili». Anche i titoli delle operazioni-blitz delle forze dell'ordine dovranno rispettare lo stesso principio. Chi da indagato o da imputato si vede additato come colpevole ha diritto a chiedere e ottenere una rettifica in 48 ore che abbia lo stesso rilievo mediatico. Lo stesso nei provvedimenti dell'autorità giudiziaria - diversi da quelli sulla decisione sul merito della responsabilità penale: indagato o imputato non potranno essere indicati come colpevoli sino a sentenza irrevocabile. Il divieto non si applica agli atti del pubblico ministero volti a dimostrare la colpevolezza della persona sottoposta ad indagini o dell'imputato. Il decreto passa ora alle commissioni parlamentari, dove potranno esserci correttivi. Comunque una vittoria per Costa: «È una battaglia di civiltà perché troppo spesso la conferenza stampa delle Procure è la vera sentenza, quella mediatica, quella che resta impressa nella mente di ciascuno. La sentenza vera, quella definitiva, arriva dopo anni e, quando di assoluzione non restituisce la credibilità cancellata dalla comunicazione degli inquirenti». Il M5s esprime cautela: «Valuteremo con attenzione, non va pregiudicata in alcun modo la libertà di stampa», dice Mauro Perantoni, presidente della commissione Giustizia alla Camera. Per il Pd il decreto «è un importante passo, siamo contro la spettacolarizzazione delle indagini», commenta la dem Anna Rossomando. Intanto ieri una rilevazione di Adnkronos sui dati del ministero della Giustizia conferma che la maggior parte dei procedimenti penali finisce con l'archiviazione. Nel 60 per cento dei casi i procedimenti definiti nei tribunali italiani si chiudono senza iniziare con archiviazione del Gip o del Gup. Sul dato pesa l'altissimo numero di notizie di reato - che spesso si rivelano infondate. Gli inquirenti già sovraccaricati di pendenze si ritrovano comunque ad aprire fascicoli.

Sono gli stessi uffici di Procura che nel 35 per cento dei casi chiedono l'archiviazione. E la percentuale potrebbe aumentare visto che la riforma del processo penale appena approvata alla Camera prevede che il rinvio a giudizio venga chiesto solo in caso di «ragionevole previsione di condanna».

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