Criticare il ministro dell'Interno Luciana Lamorgese è come sparare sulla Croce Rossa. Con una differenza. La Croce Rossa sappiamo a cosa serva, mentre la funzione della Lamorgese resta, da oltre due anni, un singolare mistero. La prima a non volercelo far capire è proprio lei. Solo tre giorni fa ripeteva Giusto accogliere, ingiusto che lo faccia solo l'Italia. La lamentazione, prontamente rilanciata da tutti i media, suonava come un monito all'egoismo dell'Europa e faceva presupporre un imminente riscatto. Macché. Ieri, neanche 72 ore dopo, la responsabile del Viminale dava il via libera all'entrata nel porto di Trapani alla nave della Ong tedesca Sea Eye e allo sbarco di 874 migranti destinati a restare a carico del nostro paese in quanto in gran parte irregolari. Il tutto senza neppure chiedere che la Germania, vista la nazionalità della Ong Sea Eye, o in alternativa qualcuno altro dei 26 partner europei, se ne facesse carico. Certo probabilmente sarebbe stata fatica sprecata. Ma anche qui il problema si chiama Lamorgese. L'indifferenza, l'indolenza e l'egoismo dell'Europa sono anche figlie dell'arrendevolezza e dell'inadeguatezza di chi guida il nostro Ministero degli Interni. Per capirlo basta tornare al 22 settembre 2019. Da oggi - annunciò quel giorno la Lamorgese - possiamo dire che l'Italia non è più sola nella gestione dei flussi migratori. Con quella frase - pronunciata al rientro dal vertice di La Valetta con gli omologhi di Francia, Germania, Malta e Finlandia - la ministra ci fece credere d'aver convinto l'Europa a ricollocare parte dei migranti arrivati sulle nostre coste. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Da allora, stando ai dati dello stesso Ministero degli Interni, abbiamo accolto oltre 91mila fra irregolari e richiedente asilo. A fronte di tutto ciò, e nonostante i presunti accordi di Malta esibiti dal Ministro, l'Italia non è riuscita a ricollocare in Europa più di mille persone. A fronte di questi dati la Lamorgese farebbe meglio a risparmiare i piagnistei e chiarire alcuni legittimi dubbi. Il primo è se le rivendicazioni del 22 settembre 2019 erano frutto di un suo abbaglio o si basavano su intese concrete. Nel primo caso il ministro avrebbe dovuto da tempo abbandonare la poltrona vista la sua manifesta incapacità di comprendere quanto concordato con i propri interlocutori. Ma visto che non l'ha fatto - e non possiamo, nè vogliamo, mettere in dubbio la sua lucidità e la sua buona fede - è inevitabile pretendere un secondo chiarimento. Il ministro dovrebbe spiegare cosa ha fatto in questi due anni per ottenere il rispetto delle intese di Malta. Quali azioni ha intrapreso in sede europea? Quali pressioni ha attuato? E, soprattutto, come mai a fronte di 91mila arrivi è riuscita ad ottenere soltanto un migliaio di ricollocamenti? Perchè non giriamoci attorno. Un ministro non si giudica nè dalle promesse, nè dalle lamentele, ma dai fatti.
E i fatti in Italia, come in Europa, si realizzano imponendo agli interlocutori il rispetto delle intese assunte e dimostrandosi capaci di far valere le proprie buone ragioni. Mille ricollocamenti a fronte di 91mila sbarchi equivalgono ad una percentuale di successo inferiore all'1,1 per cento. Statisticamente pochino per un ministro degno di questo nome.
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