Sembra di sentire la voce di qualche eminente politico dal pulpito di un talk show giustificare l'introduzione di nuove tasse ambientali: «lo facciamo per il vostro bene». È ciò che deve aver pensato chi ha coniato l'espressione «tasse etiche» ma in realtà, come emerge da una ricerca della fondazione Open polis, il 99% del gettito fiscale ambientale non è investito nella tutela dell'ambiente.
Secondo l'Ispra (l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale del governo), una tassa ambientale «si caratterizza per avere la sua base impositiva in una grandezza fisica, o una sua proxy, che ha provate conseguenze negative sull'ambiente. In altre parole, è sufficiente che un'attività, prodotto o servizio produca agenti inquinanti perché vi si imponga una tassa».
C'è però un aspetto ulteriore che è quello più interessante ed è il fatto che «gli introiti derivanti da questa imposta siano poi impiegati in attività di protezione dell'ambiente non rientra tra i criteri ufficiali per definire un'imposta ambientale».
Ciò significa che non è obbligatorio che le risorse raccolte con le tasse verdi siano utilizzate con finalità ambientali poiché «in Italia, le uniche tasse ambientali il cui gettito sia poi impiegato in attività di tutela dell'ambiente sono quelle sull'inquinamento e l'estrazione delle risorse naturali».
Esistono infatti varie tipologie di tasse ambientali, da quelle sull'energia che comprendono imposte sui prodotti energetici e quelle sulle emissioni di CO2, fino alle tasse sui trasporti. Inoltre vi sono le imposte sull'inquinamento e le risorse naturali riguardanti emissioni di agenti inquinanti (tranne la CO2) e le tasse relative all'estrazione e all'utilizzo di risorse naturali. Queste due ultime imposte costituiscono meno dell'1% del gettito fiscale ambientale, vuol dire che «dei 58,7 miliardi di gettito fiscale ambientale» solo 549 milioni sono spesi per l'ambiente. Si tratta di un vero e proprio paradosso anche alla luce della costante volontà di aumentare la pressione fiscale giustificata dalla volontà di fare il bene del pianeta.
Secondo l'Agenzia europea dell'ambiente, l'introduzione di tasse ambientali può «fare aumentare il gettito fiscale» con l'obiettivo di utilizzarlo «per migliorare la spesa ambientale e/o per ridurre le tasse sul lavoro, sul capitale e sul risparmio». Questa è la teoria. La pratica, come ben sappiamo, è molto diversa e le risorse reperite vengono usate per finalità di tutt'altro genere.
Eppure l'Italia è il quarto Paese dell'Ue per le imposte ambientali in rapporto al Pil e, se la Grecia è la nazione in cui le imposte ambientali pesano maggiormente rispetto al Pil (3,86%), la Bulgaria è quella dove gravano di più sui contribuenti rispetto ad altri tipi di imposte costituendo una quota del gettito fiscale totale superiore al 10%. In termini assoluti invece l'Italia risulta il secondo Paese europeo per introiti fiscali relativi all'ambiente dopo la Germania.
Questi dati fotografano una situazione chiara: già oggi paghiamo cifre ingenti in tasse verdi e volerne introdurre nuove significherebbe mettere ulteriormente le mani nelle tasche degli italiani.
Il punto semmai è ottimizzare l'uso di queste imposte indirizzandole verso investimenti di carattere ambientale e non per spese che nulla hanno a che fare con l'ambiente altrimenti, più che misure per il bene del pianeta, sembra di avere a che fare con l'ennesimo escamotage per colpire i cittadini e le imprese.
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