Svizzera come la Danimarca. Via i beni preziosi ai rifugiati

Per contribuire alle spese di mantenimento prevista la confisca per oggetti del valore superiore ai mille franchi. Ed è polemica

Berlino - Per chi è in fuga da un dittatore sanguinario come Bashar Assad o dai suoi non meno cruenti nemici islamici quello che conta è salvare la vita. Per chi abbandona il proprio paese è però anche normale cercare di portarsi dietro del denaro o delle gioie, beni da investire in un futuro più sereno una volta a destinazione. I rifugiati che arrivano in Svizzera devono però abbandonare ogni velleità di essere padroni del proprio futuro: le disposizioni della Confederazione elvetica prevedono infatti la consegna allo Stato di ogni bene oltre i mille franchi (circa 912 euro) per contribuire alle spese di mantenimento. Lo ha riferito il primo canale della radiotv svizzera tedesca, Srf, accendendo i riflettori sulla pratica che ha già scatenato polemiche in Danimarca.

All'arrivo alla frontiera, ai profughi viene dato un volantino nel quale è scritto «di consegnare i propri beni in cambio di una ricevuta». E tuttavia, ha anche reso noto un portavoce della Segretaria di Stato competente, «se qualcuno se ne va volontariamente entro sette mesi può riavere indietro il denaro e portarlo con sé. Altrimenti i soldi coprono i costi che genera». Una pratica aspramente criticata dalle ong che difendono i diritti dell'uomo e che ricorda il trattamento riservato agli ebrei in fuga dalla barbarie nazista; eppure Berna ha difeso questa pratica ricordando che l'anno scorso ha riguardato solo 112 rifugiati su 45.000.

Se in Svizzera ai rifugiati si tolgono i soldi, c'è chi in Germania non li vuole in piscina. Succede a Bornheim, cinquantamila anime alle porte dell'ex capitale Bonn: qua le autorità locali hanno vietato l'ingresso in acqua ai maschi stranieri del vicino ostello per richiedenti asilo. Discriminare per decreto non piace a nessuno e in Germania la decisione non può non richiamare un passato tetro. L'ordinanza di Bornheim non è stata però assunta per rispondere ai diktat di un dittatore razzista, ma per tutelare le molte donne che nei giorni scorsi si sono lamentate delle molestie, per adesso solo verbali, ricevute dai giovani profughi. «Non avevamo alternative», si è giustificato il dirigente comunale ai Servizi sociali, Markus Schnapka, consapevole di aver adottato una misura «che fa un torto alla gran parte dei profughi incolpevoli. Tuttavia la nostra concezione di uguaglianza fra i sessi non è in discussione». Uguaglianza e rispetto delle regole. Gli stessi principi che, se non rispettati, potrebbero creare nuove tensioni anche a un chilometro dal centro rifugiati alla Herculesstrasse, nel distretto di Ehrenfeld, a Colonia, l'epicentro delle violenze sulle donne che hanno sconvolto l'Europa. Qui si erge il Pasha, il bordello più grande del vecchio continente, che secondo il Corriere del Ticino è diventato calamita per decine di profughi ma che sta scatenando molti timori sul ripetersi di azioni violente e anche l'indignazione di quei tedeschi che vedono i contributi dello Stato sperperati nello stabile dove 120 prostitute lavorano giorno e notte.

Le dimostrazioni di simpatia della scorsa estate da parte di tanti tedeschi all'indirizzo dei rifugiati sono ormai un ricordo lontano. L'ultimo sondaggio di Zdf dimostra che il 60% dei tedeschi crede che la Germania non ce la farà ad assorbire l'1,1 milioni di rifugiati giunti nel 2015. Il 70% teme un aumento dei crimini commessi dagli stranieri: un'impennata rispetto al 42% dello scorso ottobre.

In crescita dal 33 al 42% anche coloro che vedono minacciati i propri valori culturali. La cancelliera Merkel è considerata la prima responsabile: se a dicembre il 49% era contrario alla sua politica di accoglienza, ora la percentuale dei critici è salita al 56%.

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