Tanti padroni ma poche navi Il patto libico nasce già fallito

Il premier ostaggio delle tribù rivali. Incluse quelle che incassano 300 milioni l'anno coi traffici in mare

Tanti padroni ma poche navi Il patto libico nasce già fallito

La Guardia costiera è quasi fatta. Ora resta solo da fare la Libia. E trovargli un capo. La più grande incognita del piano per la formazione di una Guardia costiera libica in grado di fermare i barconi dei migranti e riportarli a terra si chiama anche stavolta Fayez Al Serraj. Un Serraj che se non verrà defenestrato dalle milizie coinvolte nel traffico di umani verrà travolto dall'inarrestabile marea di migranti parcheggiata sulle sue coste. Soltanto ieri quella marea ne ha portati in Sicilia altri 3mila. E promette di regalarci entro fine anno il record storico dei 250mila sbarchi. In tutto ciò Serraj rappresenta l'impersonificazione stessa della precarietà del proprio paese.

Atteso a Roma sabato è arrivato solo ieri mattina perché costretto a presidiare una Tripoli prigioniera dell'ennesimo braccio di ferro tra milizie armate. Da una parte quelle di Misurata, che ne hanno chiuso tutti gli accessi, dall'altra le poche ancora a lui fedeli. Dietro la sollevazione dei misuratini ci sarebbe «l'affronto» di un premier colpevole d'aver permesso lo svolgimento a Tripoli d'una manifestazione dei fedelissimi di Khalifa Haftar, il generale di Tobruk alleato di Russia ed Egitto. Uno scontro suggellato, sabato, da un assalto alla base navale di Abu Sitta in cui il premier vive praticamente recluso. Un assalto seguito, ore dopo, dal «pronunciamento» di Haftar prontissimo, a parole, a marciare su Tripoli per liberarla sia da Serraj, sia dai suoi nemici.

Nulla che in Libia non si possa risolvere con qualche trattativa e un po' di denaro. Il problema è se i fondi promessi a Serraj da Italia ed Europa bastino ad accontentare tutti quelli intenti ad arricchirsi con il traffico di umani. Quel traffico, stando ai rapporti dell'ammiraglio italiano Enrico Credendino, comandante di Eunavfor Med, garantisce un giro d'affari annuo di trecento milioni di euro annui. Trecento milioni che - oltre ad ingrassare i trafficanti e far girare un po' di contanti nelle regioni controllate dall'inaffidabile re travicello - rappresentano anche l'unica polizza in grado di garantirne la sopravvivenza. Per comprenderlo bastano gli avvenimenti dello scorso 12 gennaio. Allora le voci su una disponibilità di Serraj a permettere alle navi europee d'operare dentro le acque territoriali libiche e bloccare i trafficanti sul bagnasciuga innescarono l'occupazione di 4 palazzi ministeriali per mano dell'ex premier islamista Khalifa Ghwell. Un avvertimento seguito il 20 febbraio scorso dai colpi d'arma pesante sparati contro il convoglio di Al Serraj durante un trasferimento alla periferia di Tripoli.

In una situazione dove il premier è chiaramente ostaggio dei vari gruppi armati è dunque lecito chiedersi chi garantirà che le dieci motovedette e le novanta reclute restino sotto il controllo di Serraj anziché passare alle dipendenze dei trafficanti. Il rischio, apparentemente paradossale, è purtroppo assolutamente coerente con quanto raccontano i rapporti provenienti dalle unità navali europee impegnate davanti alle coste della Libia. Rapporti che dipingono Abdurahman Milad, capo della guardia costiera della cittadina di Zawiya, a ovest di Tripoli, come uno dei principali responsabili del traffico di uomini.

O quelli, ancor meno incoraggianti, del 3 marzo scorso quando la sedicente Guardia costiera attualmente attiva in Libia s'è unita ad un'operazione di soccorso non per salvare i migranti, ma per recuperare i motori delle loro imbarcazioni e restituirli alle organizzazioni criminali.

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