Il timore di Matteo: finire all'angolo

Non esclude ancora le urne. Incontro in settimana con i leader alleati

Il timore di Matteo: finire all'angolo

«Sanguigno» è il termine più ricorrente usato dai leghisti per definire Matteo Salvini, anche se c'è chi lo usa per sottolinearne il fiuto politico e chi invece per criticare decisioni estemporanee e poi ritrattate. La più recente è lo scontro con Forza Italia, appena chiuso con la retromarcia su Mediaset Vivendi e la disponibilità del segretario della Lega a una federazione dei gruppi parlamentari di centrodestra, ovvero «un'opposizione unita» in Parlamento che possa avere maggiore possibilità di lavorare sulle contraddizioni della maggioranza e di incidere in modo più compatto sulle decisioni del governo, sia per la gestione dell'emergenza Covid che per i temi di bilancio.

Nella telefonata di sabato scorso tra il leader della Lega e Silvio Berlusconi si è parlato di federazione in questi termini, il presidente di Forza Italia avrebbe ascoltato con interesse la proposta e adesso - sempre secondo fonti vicine al leader leghista - «il clima nel centrodestra è sereno», tanto che in settimana è previsto un vertice tra i leader per parlare di manovra, federazione (che inevitabilmente avrà tempi lunghi) e pare anche delle amministrative a Milano, Roma, Napoli, Torino, Bologna oltre che delle regionali in Calabria, dove si tornerà a votare dopo la morte dell'azzurra Jole Santelli. Immagine della pace fatta è stato l'intervento di Salvini dalla D'Urso, in cui si è tornato a parlare dei temi caldi degli ultimi giorni, a partire dal caso Morra.

Raccontano nella Lega che Salvini, che fino a poco tempo era convinto che si sarebbe tornati a votare a breve, non abbia più su questo punto convinzioni granitiche. Nelle settimane scorse lo andava ripetendo a coloro che scambiano idee con lui sul futuro prossimo del partito, del centrodestra e della legislatura. Adesso è diventato più cauto, anche perché più tempo passa e meno è possibile coltivare una ragionevole persuasione che non solo il governo possa saltare per aria ma - soprattutto - che in questo caso il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, decida di sciogliere le Camere.

Già in passato, caduto il primo governo Conte, è nato il Conte bis, che l'ex vicepremier e ministro dell'Interno non ha ancora del tutto digerito. Da qui anche gli incubi di inciuci sotterranei tra Forza Italia, Pd, e suoi ex alleati pentastellati per metterlo definitivamente in angolo che sono una delle ragioni delle sue mosse «sanguigne» verso gli alleati. «Ancora adesso resta convinto che parti di Forza Italia lavorino per sostenere il governo» dicono i suoi.

Qualche dubbio all'interno della Lega si era sollevato proprio quando Salvini ha attaccato Berlusconi, prima sulla vicenda Mediaset Vivendi, poi prendendo tre parlamentari a Fi, poi sostenendo a spada tratta il procuratore della Repubblica di Catanzaro sull'arresto del presidente del consiglio regionale calabrese, l'azzurro Domenico Tallini, quindi lanciandosi in lodi sperticate alla presidente del Senato, Maria Elisabetta Casellati, in un momento in cui gli scenari quirinalizi, sogni e ambizioni rivolti al Colle, sono il cuore pulsante (anche se nascosto) della politica.

Insomma, ancora una volta ha ceduto alla tentazione dei «pieni poteri», anche se questa volta non al Viminale o a Palazzo Chigi ma tra i leader del centrodestra.

Tentativo legittimo ma che mal si attaglia a chi intende guidare un'alleanza di partiti e non ha i numeri per governare da sé. Come sintetizza un colonnello leghista: «Se anche sei il partito maggiore della coalizione, basta anche solo l'1 per cento per perdere e senza Forza Italia non governi nemmeno il pianerottolo di casa».

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