Toh, al Festival di Venezia marciano contro la Meloni

La leader Fdi inserita nel docufilm sul fascismo Insorge il partito: "Assurdo, violata la par condicio"

Toh, al Festival di Venezia marciano contro la Meloni

Il lungo viaggio attraverso il fascismo, riadattando all'intera società un titolo che Ruggero Zangrandi riservava ai soli intellettuali, non finisce mai. Non ne siamo usciti, non ne usciremo. Al fascismo ritorniamo sempre: ora come male assoluto del Novecento, ora come autobiografia della nazione, ora come discrimen tra gli «anti» (i giusti) e i «post» (i maledetti), dal fascismo eterno teorizzato da Umberto Eco già nel 1995 al fascismo come «stato d'animo» individuato da Corrado Augias su Repubblica giorni fa. Il fascismo come orrore e come ossessione. Più vivo che mai.

Era logico pensare che tutto ciò ci ripiombasse addosso, più disturbante che mai, sotto elezioni, con una destra-destra candidata, almeno secondo i sondaggi, a governare il Paese. Tanto più che l'ottobre 2022 è dietro l'angolo, e nel centenario della marcia su Roma l'ombra lunga del Ventennio cala pesantemente sui media e sulla discussione pubblica.

E così l'allarme fascismo esonda in campagna elettorale, e per una coincidenza (s)fortuita - il programma del festival era già deciso prima che fossero indette le elezioni - si spiaggia anche alla Mostra del cinema di Venezia.

Ieri al Lido è passato un documentario importante, Marcia su Roma, dell'irlandese Mark Cousins, scritto assieme al regista Tony Saccucci e allo sceneggiatore Tommaso Renzoni, e che andrà nei nostri cinema proprio il giovedì prima delle elezioni, dopo un passaggio anche al festival di Toronto. Ricostruzione della marcia di Mussolini del 1922 che prende spunto dalla rilettura dello storico lungometraggio A Noi! di Umberto Paradisi (documento ufficiale del Partito fascista sulle giornate che portarono Benito Mussolini al potere), l'opera di Cousins è un j'accuse contro un mondo, quello fascista, «fatto di mascolinità tossica, isteria nazionale e fake news» e contro un ducismo che ha influenzato molti autoritarismi del '900 e anche del nuovo secolo. La prima sequenza è dedicata a Donald Trump, al quale un giornalista chiede perché ha ritwittato una frase di Mussolini (risposta: «Era una bella frase. Ma lo sa che ho 14 milioni di follower?») e il sottofinale si snoda in un montaggio di politici contemporanei che aizzano le folle: Marine Le Pen, Bolsonaro, Orbán, Putin e naturalmente Giorgia Meloni. Segue giustapposizione ardita fra immagini della marcia del '22, dell'assalto a Capitol Hill e dei bombardamenti russi su Mariupol'.

Indentiamoci. Il documentario Marcia su Roma è politicamente a senso unico, che rimane ideologico sotto l'ambiziosa ricerca filologia, ma ben fatto (al netto del controcanto di Alba Rohrwacher, nella finzione una donna fascista sempre più delusa dalla piega presa dal Regime, che finisce cantando per quattro minuti Bella ciao). Lo smascheramento che Mark Cousins fa della imponente macchina propagandistica del fascismo, e di ogni tirannia, a partire dall'uso del cinema, è perfetto: l'terno ambiguo rapporto fra immagini e verità. Così come è intelligente scegliere di fermarsi un passo prima della cancel culture: il regista a un certo punto, in una carrellata sull'Eur e le statue machiste del Regime si chiede se oggi avrebbe senso abbattere l'Obelisco di Mussolini, o togliere i fregi fascisti sui palazzi, e la risposta è no, «anche se forse andrebbero portati nei musei»). Il problema è la tesi di fondo, così tranchant: fra il fascismo di Mussolini e quello delle destre di oggi ci sono solo differenze di facciata, ma una continuità di fatto. Come ha risposto ai giornalisti il regista: «Oggi ci sono molti più governi di destra di quanti io non ne ricordi in tutta la mia vita, e io ho 56 anni. Ungheria, Polonia, India, Brasile, l'America di Trump e adesso anche in Italia il pendolo sta oscillando verso destra. Questa è una condizione molto pericolosa».

E anche scivolosa. Il documentario, che ha aperto le «Giornate degli Autori» della Mostra di Venezia, salutato in sala dallo stesso presidente della Biennale Roberto Cicuto, e presentato dal giornalista Andrea Purgatori, non è passato inosservato. Neanche un'ora dopo la proiezione, il deputato di Fratelli d'Italia Federico Mollicone aveva già espresso il suo disappunto: «Riteniamo assurdo l'inserimento di immagini di Giorgia Meloni nel docufilm Marcia su Roma. Rispettiamo l'autonomia e l'indipendenza del festival, ma crediamo che tali immagini alterino la par condicio della campagna elettorale».

E annuncia un'interrogazione al ministro Franceschini. Dando vita così al curioso cortocircuito per cui un docufilm sulla manipolazione del consenso finisce con il trasformarsi in uno strumento improprio di propaganda elettorale.

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