Festa del Fatto Quotidiano, sabato 5 settembre. Giuseppe Conte dice: «Vedrei benissimo un secondo mandato di Mattarella, se ci fossero le condizioni». Panico nel Palazzo. Contrariati il Pd, il M5s e perfino lo stesso Quirinale. E si racconta che uno dei più perplessi sia stato Dario Franceschini, ministro dei Beni culturali, capo delegazione dem in Consiglio dei Ministri. Descritto, con qualche ragione, come il «grande manovratore» alla tolda del Nazareno. Politico di scuola democristiana, avvezzo al dialogo trasversale. Entrature in pezzi di Forza Italia, contatti con Matteo Renzi e un buon rapporto con l'ex capo politico dei grillini Luigi Di Maio. Ma anche con il resto della pattuglia di governo pentastellata. Nei corridoi disorientati del potere, in questo inizio di settembre, tutti cercano di guardare avanti. A un autunno che è tutto un'incognita, con le elezioni regionali e una sorpresa al referendum taglia-parlamentari che potrebbero scombinare il quadro politico. In più c'è l'enigma di Conte. Che, dicono da più parti tra i giallorossi, pare abbia perso «il tocco magico» mostrato a reti unificate durante il lockdown. Tra quelli che cercano di farsi trovare pronti in vista dei rivolgimenti che potrebbero accadere, c'è sicuramente Franceschini. La pista da seguire parte dalla partita interna al Pd e porta dritta al Quirinale.
La convinzione diffusa tra gli esperti di dinamiche di Palazzo è che da qui a febbraio del 2022, quando il Parlamento eleggerà il nuovo presidente della Repubblica, cambieranno parecchie cose. Forse anche il presidente del Consiglio, magari la maggioranza che sosterrebbe un altro inquilino a Palazzo Chigi, molto probabilmente invece non cambierà la composizione di Montecitorio e Palazzo Madama. Soltanto una vittoria rumorosa del No al referendum sarebbe in grado di aprire qualche possibilità per un voto anticipato. Se vincesse il Sì, come è ragionevole prevedere, «a quel punto la legislatura è blindata, perché nessuno ha voglia di andare a casa con poche possibilità di essere rieletto», è il ragionamento che mette d'accordo democratici e grillini. Discorso che prosegue così: «Sarà questo Parlamento a votare il successore di Mattarella». Il primo step del percorso parte dalla resa dei conti nel Pd, detonatore dei pesi e contrappesi che ora reggono Conte. Infatti Franceschini si riposiziona. Non è più uno degli sponsor dell'alleanza organica con il M5s, piuttosto flirta con Di Maio, un leader che vorrebbe fare dei Cinque Stelle l'ago della bilancia di qualsiasi maggioranza. Zingaretti non si espone e osserva le mosse del governatore dell'Emilia-Romagna Stefano Bonaccini e del «partito dei sindaci del Pd». Personaggi come Dario Nardella, Giorgio Gori, Beppe Sala. Pronti a mettere in discussione l'attuale segreteria dopo le regionali.
Franceschini, nel frattempo, parla con i renziani e i moderati di Fi. C'è da studiare l'alchimia per eleggere il Capo dello Stato in uno scenario diverso rispetto a oggi. E Dario, che mette d'accordo tutti, è pronto a gareggiare per il Colle più alto.
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