Il trasformista "usato sicuro" buono per tutte le stagioni

Prima rutelliano poi prodiano, quindi fan di Letta e ora erede di Renzi: l'ascesa dell'"invisibile" Gentiloni

Il trasformista "usato sicuro" buono per tutte le stagioni

L'incarico è arrivato rapidamente, anche troppo per le parole flemmatiche e le reazioni al rallentatore di Paolo Gentiloni detto «Er Moviola». Occhiali da impiegato del catasto, grigio negli abiti e nei capelli, sorriso triste e rassegnato, tono di voce moderato, prudente nelle chiacchiere, capace di imbastire discorsi senza dire nulla. Era perfetto come titolare della Farnesina, un posto dove al ministro è richiesto soprattutto di girare attorno alle questioni, prendere tempo, lasciare decantare le crisi e intervenire a cose fatte.

Matteo Renzi l'aveva selezionato in base al principio che non voleva nessuno a fargli ombra. Gentiloni è così evanescente che la scelta era quasi obbligata. E lo è a maggior ragione oggi che il dimissionario tenta la mossa del cavallo: un passo di lato per farne uno in avanti. Lontano temporaneamente dai riflettori per consolidarsi nel partito e tornare da protagonista alle prossime elezioni. Niente di meglio che piazzare a Palazzo Chigi il conte Paolo Gentiloni Silverj, nobile di Filottrano, Recanati, Cingoli e Macerata, a tenergli la poltrona in caldo. Nelle biografie di queste ore le nobili gaffe gentiloniane alla Farnesina passeranno sotto silenzio. Ci sono gli schiaffi presi dal governo del Cairo per la morte di Giulio Regeni, con il ministro incapace sia di risolvere l'incidente diplomatico con l'Egitto dall'occultamento del corpo fino al depistaggio -, sia di fare luce sulla fine del giovane studioso. E ci sono gli sciagurati messaggi di solidarietà con il premier turco Erdogan proprio mentre Ankara reprimeva con arresti di massa i movimenti di piazza. Del resto, non ci sono di lui grandi eventi da ricordare in questi due anni agli Esteri.

Il Rottamatore lo volle alla Farnesina per quattro motivi: per fare dispetto all'allora presidente Giorgio Napolitano, per il curriculum di convertito al renzismo, per la fama di silenzioso sgobbone incapace di brillare di luce propria e per l'abilità nel sostenere tutto e il suo contrario. Quando i ribelli siriani liberarono le cooperanti lombarde Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, toccò a Gentiloni negare l'evidenza in Parlamento: «Siamo contrari a ogni tipo di riscatto». Mesi dopo un tribunale islamico condannò uno dei rapitori per essersi messo in tasca una bella fetta, forse la metà, dei 12 milioni e mezzo di dollari scuciti per il rilascio delle ragazze. All'indomani della liberazione si era parlato proprio di 12 milioni di riscatto. Quella volta però in Parlamento dovette andarci Maria Elena Boschi.

Dimenticanze? Nel 2008, quand'era ministro delle Comunicazioni nel secondo governo Prodi, mancò di indicare nella dichiarazione patrimoniale del 2007 cinque immobili, cioè le case possedute fuori Roma. Nel 2001 da capo dell'infelice campagna elettorale di Francesco Rutelli assicurò: «Il duello in tv si farà e Rutelli sorpasserà il Cavaliere». Cinque anni dopo, alla vigilia delle elezioni 2006, giurò: «Niente spoil system in Rai». Che invece puntualmente avvenne.

La più mancata delle promesse riguarda la legge Gasparri. Da ministro, Gentiloni propose di modificare gli assetti radiotelevisivi con proposte legislative penalizzanti per Mediaset, come l'anticipo del trasferimento di una rete sul digitale terrestre e i limiti alla pubblicità per i soggetti che superavano il 45%. Mediaset era al 65. Ma la legge Gasparri è resistita fino a Renzi. Il ministro delle cause perse propose di ridurre l'affollamento pubblicitario, cancellare gli spot brevi nelle partite di calcio, equiparare pubblicità e telepromozioni, rinegoziare i diritti sportivi: furono quattro flop.

Classe 1954, Gentiloni ha fatto il '68 al liceo Tasso, tempio dei borghesi progressisti e dei radical chic: il giovane Paolo ne guidò l'okkupazione. Fu uno scandalo che un figlio della nobiltà romana papalina fosse il capo degli incendiari. Tra i suoi antenati più noti c'è Vincenzo Ottorino Gentiloni Silverj, uomo di fiducia di Pio X che nel 1912 strinse con Giovanni Giolitti il Patto che porta il suo nome e di fatto segnò la nascita del Partito popolare. Nonostante le ascendenze l'erede della dinastia spalleggiava l'estrema sinistra: Movimento studentesco di Mario Capanna, poi il Movimento lavoratori per il socialismo e infine il Pdup di Lucio Magri e Luciana Castellina. Era pacifista e antimilitarista. Negli anni '80 ebbe la svolta verde. Chicco Testa, suo grande amico con l'altro portabandiera ecologista Ermete Realacci, porta Gentiloni in Legambiente e lo nomina direttore di Nuova Ecologia. Qui il premier incaricato si lega a Francesco Rutelli, ex radicale, il quale più avanti, da sindaco di Roma, lo nominerà assessore al Turismo (ebbe anche le deleghe al Giubileo) e successivamente, da leader nazionale della Margherita, portavoce del partitello e capogruppo in Commissione di vigilanza Rai. I suoi scudieri erano due giornalisti oggi legatissimi a Renzi e al suo tentacolare sistema di controllo dei media: Michele Anzaldi, il mastino che affonda i denti sulla Rai, e Filippo Sensi, il portavoce. Le giravolte non erano finite con il passaggio dal Pdup all'ecologismo e poi al Campidoglio rutelliano. Gentiloni divenne prodiano, montian-lettiano e infine renziano, assieme alla pattuglia di ex rutelliani «piacioni» formata da Realacci, Anzaldi e Roberto Giachetti. Il suo sogno nel cassetto non era fare il ministro, ma il sindaco di Roma. L'occasione si presentò alla fine del 2012 dopo le dimissioni di Gianni Alemanno. Gentiloni avanzò una drammatica autocandidatura alle primarie del centrosinistra. Piazzò scaramanticamente il comitato elettorale in Piazza delle Cinque Lune dove aveva sede il comitato cittadino di Matteo Renzi. Pensava di avere l'esperienza, gli agganci e un Pd compatto alle spalle. Invece nella primavera successiva finì terzo, sconfitto dal futuro sindaco Ignazio Marino e perfino da David Sassoli.

Anche quella volta Gentiloni reagì tristemente, mollemente, sommessamente. Accettò il verdetto e si sedette in Parlamento.

Sapeva che finire terzo alle primarie del Pd è un merito altissimo agli occhi di Renzi che ama circondarsi di perdenti: Roberta Pinotti, terza alle primarie di Genova, ministro della Difesa; Davide Faraone, terzo alle primarie di Palermo, sottosegretario all'Istruzione. Appena possibile Gentiloni ebbe la Farnesina. E ora Palazzo Chigi.

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