Doppio appuntamento con la giustizia per Donald Trump. Ieri l'ex presidente era in tribunale a New York per il processo sul pagamento alla pornostar Stormy Daniels, ma allo stesso tempo a Washington è iniziata la battaglia alla Corte Suprema sull'immunità nel processo per i tentativi di ribaltare l'esito del voto del 2020. La difesa sostiene la tesi dell'immunità assoluta del presidente, a meno che non sia stato condannato per impeachment (è stato assolto in quello per l'attacco al Congresso del 6 gennaio 2021). E afferma che la sentenza del 1982 sull'immunità dalla responsabilità civile di Richard Nixon vada estesa anche alla responsabilità penale. Per l'accusa, invece, se un comandante in capo fosse totalmente immune potrebbe anche ordinare di uccidere un oppositore politico senza essere perseguito e che nessuno è al di sopra della legge.
«Un presidente deve avere l'immunità e questo non ha niente a che fare con me. Se non ce l'hai è come un avere un presidente onorario», ha detto Trump prima di entrare in aula a Manhattan. La Corte Suprema a maggioranza conservatrice sembra scettica sull'immunità assoluta, e pare più orientata a distinguere tra atti ufficiali, che potrebbero avere diritto all'immunità, e atti privati. L'avvocato di The Donald sembra aver ammesso che molte delle accuse sono atti privati, compresa la controversa telefonata al segretario di Stato della Georgia Brad Raffensperger per trovare i voti necessari a vincere. La portata della decisione dipende pure dalla velocità con cui si pronuncerà. I nove giudici non dovrebbero decidere prima di giugno, e in caso ritengano che Trump possa essere giudicato dal procuratore speciale Jack Smith, l'eventuale dibattimento difficilmente si concluderebbe prima dell'election day del 5 novembre. «C'è ancora una finestra temporale. Solo se agiscono molto rapidamente è possibile che il processo possa iniziare alla fine di agosto o all'inizio di settembre», ha spiegato l'ex procuratore federale Randall Eliason, professore di diritto penale alla George Washington University.
A New York, invece, l'ex editore del National Enquirer David Pecker è tornato sul banco dei testimoni ricordando il timore di Trump che alcune storie imbarazzanti, come quella della relazione con la coniglietta di Playboy Karen McDougal, potessero avere un impatto sulla campagna elettorale, non sulla famiglia, come invece sostenuto dai suoi legali.
Intanto in Arizona un gran giurì ha incriminato sette collaboratori della campagna di Trump e 11 membri del partito repubblicano statale per il tentativo di rovesciare la vittoria di Biden nel 2020. Tra gli imputati l'ex capo di gabinetto della Casa Bianca Mark Meadows, l'ex avvocato del tycoon Rudy Giuliani e pure Boris Epshteyn, ex assistente della Casa Bianca e ancora uno dei suoi più stretti consiglieri.
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