In Turchia Erdogan tenta un altro colpo di mano

In Turchia Erdogan tenta un altro colpo di mano

Più che un'elezione è una roulette. Una roulette dove il secondo giro della ruota rischia di generare scenari identici a quelli dello scorso 7 giugno quando l'Akp (Partito della Giustizia e lo Sviluppo) del presidente Recep Tayyip Erdogan si fermò al 40,8 per cento mancando la maggioranza assoluta per la prima volta dal 2002. Una maggioranza indispensabile per introdurre quella riforma costituzionale di stampo presidenzialista che regalerebbe ad Erdogan pieni poteri. Proprio per questo, secondo l'opposizione, il presidente avrebbe sabotato la nascita di un governo di coalizione puntando al voto di oggi per riconquistare la maggioranza perduta. Quella speranza sembra, però, una chimera. A dar retta ai sondaggi l'Akp è fermo tra il 41 e il 42 per cento. L'Hdp - il partito filo curdo che - a giugno - superò di tre punti la barriera del dieci per cento portando in Parlamento 80 deputati, non rischia bruschi arretramenti. E immutate sembrano sia le aspettative dei vecchi kemalisti repubblicani del Chp cristallizzati al 27%, sia quelle dei «lupi grigi» ultra nazionalisti dell'Mhp (Partito d'azione nazionalista) stabili al 15/16 per cento. Dietro questa paralisi si cela l'addio degli elettori moderati al partito di un presidente, aspirante autocrate, riavvicinatosi pericolosamente a quell'Islam fondamentalista da cui iniziò, negli anni '90, la sua ascesa politica.

Dietro la stabilita del voto si nasconde invece la profonda instabilità turca. Secondo l'opposizione dopo il voto Erdogan potrebbe nuovamente simulare il tentativo di dar vita ad coalizione con i nazionalisti del Mhp o con i kemalisti del Chp per arrivare, in verità, a una terza elezione ad aprile. Una tentazione che andrebbe di pari passo con l'inasprimento dei metodi autoritari e della strategia della tensione. Il sequestro e la chiusura negli scorsi giorni di due canali televisivi d'opposizione è solo l'ultimo segnale di una campagna repressiva che consente l'intimidazione e l'incarcerazione di giornalisti e oppositori grazie ad un sistema giudiziario compiacente. Sul fronte della strategia della tensione è difficile non notare, invece, come l'entrata in Parlamento dell'Hdp sia coincisa con la ripresa dei bombardamenti delle formazioni curde in Iraq e Siria. E come il terribile attentato di Ankara rivendicato dall'Isis e costato, il 10 ottobre, più di cento morti abbia colpito proprio una dimostrazione dell'Hdp. Le tentazioni autoritarie di Erdogan non preoccupano soltanto l'opposizione. Un rapporto dell'Unione Europea - consultato dell'agenzia Reuter nonostante il presidente della Commissione Jean Claude Juncker imponga di tenerlo segreto almeno fino al voto di oggi - denuncia l'adozione di «leggi chiave in materia di Stato di diritto, libertà d'espressione e d'associazione contrarie a tutti gli standard europei». Dal punto di vista europeo va anche rilevato come un'affermazione del «sultano» rischi di rendere ancor più complesso il contenimento dell'immigrazione. Dietro l'insuccesso dell'Akp alla precedente tornata elettorale si nascondeva anche il malcontento per la presenza in Turchia di 2 milioni di profughi siriani. Profughi che con l'avvio delle campagne elettorali sono transitati sempre più massicciamente dalla Turchia alla Grecia. Un dato evidenziato dall'Alto Commissariato per i rifugiati che rimarca come i 124mila migranti, approdati in Grecia tra gennaio e luglio di quest'anno, rappresentino un incremento del 750 per cento rispetto allo stesso periodo del 2014. Ma a preoccupare ancor di più un'Unione Europea assai omertosa davanti alle responsabilità turche contribuisce anche la difficile trattativa sulla questione migranti.

Una trattativa, o un ricatto, che prevede, come emerso nel recente incontro tra Angela Merkel ed il Sultano, il versamento di tre miliardi di euro per ottenere la disponibilità di Erdogan a vigilare con più attenzione sulle proprie frontiere.

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