Del Turco è innocente, la giustizia no

Del Turco è innocente, la giustizia no

«La montagna di prove che doveva schiacciarmi si è dimostrata per quello che era: una montagna di fango», con queste parole Ottaviano del Turco si congeda dai giornalisti al termine del terzo atto di una pièce senza fine. Alla «montagna di prove schiaccianti», che avrebbero dovuto inchiodare l'ex presidente della regione Abruzzo nel ruolo di incallito tangentaro, financo a capo di un'associazione per delinquere, si riferì l'allora procuratore di Pescara Nicola Trifuoggi all'indomani degli arresti. Oggi Trifuoggi è vicesindaco de L'Aquila. Del Turco ha abbandonato la politica. Non aveva altra scelta, del resto, quando il 14 luglio 2008 fu arrestato e tradotto nel carcere di Sulmona, l'istituto con la percentuale di suicidi più alta in Italia. Gli furono inflitti, da condannato preventivo, 28 giorni in isolamento, alla stregua di un boss mafioso, più due mesi ai domiciliari. Un incubo che nessuna assoluzione potrà mai cancellare. Eccolo là, il socialista catapultato nelle file del Pd, tra i saggi fondatori del nuovo contenitore del centrosinistra, membro della direzione nazionale, ma con il vizio antico della mazzetta. Tre giorni dopo l'arresto, Del Turco si dimise dalla carica di presidente della Regione e con una lettera si autosospese dal partito. Da allora il castello delle accuse si è sgretolato. L'entità delle presunte tangenti di cui non è mai stata rinvenuta traccia è passata dai sei milioni e 200mila euro iniziali a 800mila euro. L'unico accusatore, Vincenzo Angelini, ex patron della clinica Villa Pini di Chieti, da sedicente vittima della mungitura politica è divenuto «bancarottiere seriale», nelle parole dell'avvocato della difesa Giandomenico Caiazza. Le condanne a carico di Angelini a 10 anni per bancarotta fraudolenta, a sette per la truffa dei ricoveri e a quattro per il caso delle villette lager, non potevano che intaccarne la pretesa credibilità. Lui, Del Turco, 72 anni all'anagrafe, ha assistito dignitosamente allo spettacolo che si svolgeva davanti ai propri occhi. Ha vestito i panni dell'inquisito, poi quelli del condannato in primo grado a nove anni e sei mesi drasticamente ridotti, in appello, a quattro anni e due mesi. Fino alla sentenza dell'altro ieri quando la sesta sezione penale della Cassazione ha annullato con rinvio la condanna per l'accusa più pesante, associazione per delinquere. La corte d'appello di Perugia rideterminerà il trattamento sanzionatorio, ancora al ribasso. La «montagna di prove schiaccianti» ha decapitato una giunta democraticamente eletta dai cittadini abruzzesi, ha interferito indebitamente con gli equilibri politici in forza di una inchiesta mediaticamente clamorosa e processualmente fragile. Nel frattempo, il pm è stato nominato vicesindaco del capoluogo abruzzese (con delega a vigilare sulla legalità degli appalti, manco a dirlo). Del Turco si è congedato dai suoi elettori per calarsi nel ruolo di imputato. Ogni altra parola per spiegare il «cortocircuito politica giustizia» sarebbe ridondante. Anche la sinistra, con qualche anno di colpevole ritardo e un tappeto di vittime sul campo, se n'è accorta: in Italia l'equilibrio tra i poteri è un miraggio.

Forse la sinistra l'ha sempre saputo, ma con Berlusconi sulla cresta dell'onda faceva comodo trincerarsi dietro l'ipocrisia delle sentenze giammai criticabili. Ora che questionarle non è più tabù, consentiteci di dirlo: Del Turco è innocente.

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