Tutto quello che la Boldrini non sa sui crimini dei partigiani

Il presidente della Camera elogia l'operato dei partigiani, ma dimentica le loro atrocità

Tutto quello che la Boldrini non sa sui crimini dei partigiani

"I partigiani non ospiti ma padroni di casa". Così il presidente della Camera Laura Boldrini alle celebrazioni di questo 25 aprile. Ma la realtà storica è davvero questa? O ci troviamo, forse, di fronte a un’altra boutade del presidente della Camera?

La realtà partigiana, infatti, è un po’ più complessa rispetto a come la vorrebbe la Boldrini. Ci furono dei partigiani - come ad esempio Eugenio Corti, "l’ultimo soldato del re" - che decisero di prendere le armi contro i repubblichini perché volevano difendere la parola data: avrebbero servito il re in qualsiasi posto e in qualsiasi frangente. Altri, come Giovannino Guareschi, si fecero spedire nei campi di concentramento tedeschi come Imi, Internati militari italiani. Anche loro membri del regio esercito. Anche loro fedeli al re. A ogni costo. C’era poi i partigiani bianchi, quelli nati nelle associazioni cattoliche. C'era, quindi, chi lottava per una parola data, per mantenere fede a un onore.

Dall’altra, i partigiani rossi che, va detto, non accelerarono affatto la ritirata tedesca, anzi: la resero ancora più sanguinosa. I continui attentati provocarono continue rappresaglie. Morti su morti. I partigiani rossi volevano sostituire una dittatura, quella fascista, con un’altra dittatura ben peggiore, se mai si può fare una classifica delle dittature, quella comunista. E, per raggiungere questo obiettivo, i partigiani rossi fecero fuori parecchi partigiani bianchi. Quelli della brigata Osoppo, per esempio, alla quale apparteneva anche il fratello di Pier Paolo Pasolini, Guido.

L’odio comunista si scagliò soprattutto contro la Chiesa, come del resto era successo in Spagna durante gli anni della guerra civile. Il 13 aprile 1945 i partigiani fecero fuori Rolando Rivi, ora beatificato, perché accusato di una "colpa" terribile: indossare la veste talare e voler diventare prete. Furono moltissimi i preti e i consacrati che fecero una brutta fine nel cosiddetto triangolo della morte, in Emilia, dove ci furono ben 4500 morti dal 1943 al 1949.

Tra i crimini più beceri dei partigiani rossi, ovvero dei “padroni di casa”, va annoverato l’omicidio di Carlo Borsani, 28 anni, medaglia al valore di guerra. Un ragazzo come tanti. Un ragazzo che aveva donato tutto quello che aveva potuto all'Italia. Fu ucciso perché accusato di essere fascista e gettato su un carretto della spazzatura. Al collo una scritta: "Ex medaglia d’oro".

E poi c’è la lunga fila di morti legati alla Democrazia Cristiana: il dottor Carlo Testa, Ettore Rizzi, Bruno Lazzari e, infine, Giorgio Morelli, partigiano e giornalista cattolico, ucciso perché aveva pubblicato un'inchiesta in cui accusava il presidente comunista dell'ANPI di Reggio della morte di un partigiano cattolico, Mario Simonazzi. E l’elenco potrebbe continuare a lungo. Val la pena però ricordare l’attentato di via Rasella: come è noto, i Gap posizionarono una carretta per far saltare in aria i tedeschi. Le regole dei nazisti erano chiare: per ogni tedesco morto 100 italiani. I partigiani non si curarono di questo sanguinoso avvertimento e agirono lo stesso. Il risultato? La più orrenda carneficina: 335 morti per mano tedesca. Tra questi, anche numerosissimi partigiani bianchi che si trovavano nelle prigioni di via Tasso e di Regina Coeli.

Spiace che la Boldrini abbia anche detto che "chi lottava contro i partigiani stava dalla parte sbagliata".

Spiace perché la realtà è più complessa e, soprattutto, perché ragionando in questo modo si creano cittadini di serie A e cittadini di serie B. Un'Italia giusta e un'Italia sbagliata. Un'Italia dove esistono dei "padroni di casa", i partigiani, e dove esistono gli emarginati, i repubblichini. E tutto questo a 70 anni dalla fine della guerra civile.

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