C'è una guerra reale, tangibile, terribile. Quella sul campo, in cui tra bombe e razzi la Russia sta cercando di portare avanti l'invasione dell'Ucraina. Una guerra che sta per svalicare l'anno di durata, che ha seminato e continua a seminare morte e distruzione. E ce n'è un'altra di guerra, che corre parallela alla prima. Fa meno danni ma forse solo in apparenza perché di fatto è complementare a quella che si combatte con le armi. È la guerra di parole che vede la Russia attaccare e l'Ucraina, ma non solo, difendersi, con l'Occidente nella sua completezza pronto a replicare contro le accuse e i deliri che escono dal Cremlino. L'ultimo porta la firma di Dmitrij Medvedev, vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo ed ex premier, uno dei falchi di Putin, forse tra i più spietati. «Secondo la nostra dottrina nucleare, la Russia può usare armi nucleari se armi nucleari o di altro tipo di distruzione di massa vengono usate contro la Russia o i suoi alleati, se riceve informazioni verificate sull'avvio di missili balistici per attaccare la Russia o i suoi alleati, in caso di aggressione convenzionale se l'esistenza dello Stato è in pericolo», ha detto, tornando a minacciare l'utilizzo di armi nucleari nel caso in cui l'offensiva ucraina riguardi anche il territorio russo.
Non è chiaro del tutto se il mai misurato Medvedev parli per se o per l'istituzione che rappresenta, fatto sta che oltre all'ennesima minaccia, fa specie constatare una volta di più come la logica russa consenta di invadere uno stato sovrano ma non tolleri nemmeno l'idea che questo stesso stato possa difendersi. Forse per questo la replica che arriva da Kiev, non solo è dura ma anche sprezzante. «La legge internazionale parla chiaro. L'Ucraina può liberare i suoi territori utilizzando qualsiasi strumento. La Crimea è Ucraina. Le minacce da parte dei funzionari russi con attacchi di rappresaglia sono solo una conferma dell'intenzione di commettere omicidi di massa e un tentativo di spaventare nello stile tradizionale russo. Ignorate sempre Medvedev», la risposta affidata a Mikhaylo Podolyak, braccio destro del presidente ucraino Zelensky. D'altra parte è da mesi che questa sfida dialettica va avanti e i protagonisti sono più o meno sempre i medesimi. Poteva mancare all'appello l'ineffabile Maria Zakharova? Ovviamente no. La portavoce del ministero degli Esteri, che ha fatto della menzogna e della bieca propaganda il proprio tratto distintivo, ha una versione della storia (e della geografia, leggasi confini) tutta sua. «L'evento tenutosi il 3 febbraio a Kiev ha confermato ancora una volta che per indebolire la Russia e servire le aspirazioni egemoniche degli Stati Uniti e della Nato, l'Unione europea continua a sostenere sconsideratamente il regime neonazista di Kiev», ha detto, raschiando il fondo delle interpretazioni fantasiose che a sentire lei è l'Ucraina che ha attaccato la Russia.
Mentre Zelensky continua la richiesta di armi all'Occidente e assicura che il suo esercito combatterà fino all'ultimo per difendere la città di Bakhmut, dall'Unione europea arriva un'ulteriore presa di posizione contro la Russia che non è soltanto simbolica. «Entro il 24 febbraio, a esattamente un anno dall'inizio dell'invasione dell'Ucraina, miriamo a mettere in atto il decimo pacchetto di sanzioni» ha assicurato la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. «Stiamo facendo pagare a Putin la sua atroce guerra.
La Russia sta pagando un prezzo pesante, le nostre sanzioni stanno erodendo la sua economia, facendola arretrare di una generazione», ha aggiunto. Ok le parole, ma per vincere, veramente, questa guerra, servono anche atti concreti.
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