Racconta il presidente della commissione Esteri della Camera, Giulio Tremonti, alla buvette di Montecitorio: «Sono tutti terrorizzati dall'idea di una rielezione di Trump. Nell'ultima riunione di Aspen Institute il terrore si toccava con mano». Già, a volte ritornano. L'incognita Trump aleggia anche sul Parlamento italiano. E c'è chi vive l'eventualità come un film horror e chi, invece, come il ritorno del Conte di Montecristo che farà giustizia di chi lo ha tradito. Eh sì perché anche da noi ci sono gli arcinemici di Donald, quelli che lo hanno ammirato e poi dimenticato se non rimosso e quelli che sperano in un'altra incoronazione animata da uno spirito di revanche. Tutti però sono consapevoli che il Trump 2 è la spada di Damocle che pesa sullo scenario planetario. Se il ritorno si materializzasse nulla sarà come prima.
Sospira il ministro della cultura Gennaro Sangiuliano reduce da uno scontro in aula sulla cancel culture: «Mi toccherà scrivere un altro libro». E poi arriva al dunque, agli effetti cioè che potrebbero essere determinati dal ritorno: «Sul piano ideologico a noi andrebbe bene ma non nella prassi. Trump è un'isolazionista per cui non avremmo più quell'attenzione che ci ha riservato Washington in questi anni. Gli Stati Uniti di Trump non avranno più bisogno di noi visto che con lui finirà la guerra in Ucraina».
Non si tratta di una conseguenza di poco conto. In fondo uno dei meriti di Giorgia Meloni è stato proprio quello di aver stretto un ottimo rapporto con Joe Biden in un quadro internazionale drammatico basato su un forte atlantismo e una decisa scelta di campo filo-ucraina da parte italiana, in cambio di una difesa della nostra economia da parte americana (mai come in quest'ultimo anno le agenzie di rating sono state generose con noi).
Con l'avvento di Trump si volterebbe pagina. «Sarebbe un problema», osserva il viceministro dell'economia Maurizio Leo: «Grazie alle relazioni della Meloni a Washington e alla lealtà dimostrata nella guerra in Ucraina abbiamo goduto di un ombrello americano in economia. Con l'eventuale arrivo di Trump dovremmo navigare in mare aperto». Congetture che Tremonti dall'alto della sue esperienza condivide. «Trump - è il suo ragionamento - porrebbe una serie di problemi. Innanzitutto all'Europa, ma credo che lui farà meno di quello che teorizza per propaganda. Come l'altra volta ci chiederà un po' di soldi per la Difesa. In Italia non so se la farà pagare a chi si è professato troppo bidenista, penso piuttosto che si disinteresserà di noi. In più verrà a mancare quell'elemento di stabilizzazione economica che è la guerra. Per fare un esempio, se non ci fosse stata una fase internazionale drammatica qualche mese fa Societè General sarebbe fallita. Per cui con lui non avremmo più le garanzie di cui abbiamo goduto finora».
Un altro aspetto del ritorno che sconfina nel comico è la polemica - tutt'altro che nascosta - tra i trumpiani convinti che nell'era Biden sono andati in letargo, quelli che hanno lasciato Donald per Joe e, infine, quelli che sono stati e saranno sempre degli irriducibili anti-Trump. Divisioni che attraversano gli schieramenti. Ad esempio, il vicepresidente della Camera Rampelli di Fratelli d'Italia parla dell'ipotesi Trump con una certa preoccupazione. «Ci sarebbe - prevede - un cortocircuito internazionale. Ma pure 'sti repubblicani americani non potrebbero affidarsi al governatore De Santis». Mentre il vicesegretario della Lega Andrea Crippa solo a sentir parlare di Trump fa i salti di gioia. «E vai il ritorno del grande Donald!», esclama: «Siamo gli unici ad essergli rimasti fedeli».
È quantomai ovvio che l'ipotetico Trump 2 finirà nel calderone del duello sotterraneo tra la Meloni e Salvini. Anche perché uno dei grandi assi nella manica della Meloni da quando è approdata a Palazzo Chigi è stato, appunto, il rapporto privilegiato con Biden. Che molti gli rammentano. «L'altro giorno - confida Paola De Micheli del Pd - ho inviato alla premier in aula un biglietto per chiedergli di intervenire presso gli americani per aiutare le compagnie aeree. Mi ha risposto vedrò che posso fare. E io ho insistito con un altro biglietto: Guarda che la manina a Biden l'hai data tu mica io. La manina, la manina». Forse questo è l'unico aspetto che fa sorridere un Gianni Cuperlo che appena gli nomini Trump va in trance: «Pericoloso, molto pericoloso». Ecco le piroette di tanti che prima hanno amato e poi rinnegato Donald rosso lo riportano alla realtà: «Se fosse eletto avremmo un grande rimescolamento. Un facite ammuina generale!».
A destra come a sinistra. Immaginate che capriole farebbe Giuseppe Conte, pardon Giuseppi come lo chiamava Trump. Quando l'ex-presidente era in auge si fregiava della sua simpatia. Anzi per lui era motivo di vanto. Uscito di scena lo ha rinnegato tre volte prima che cantasse il gallo. In fondo chi poteva scommettere sulla rinascita di Donald. Solo un pazzo. Probabilmente Conte, che non è tipo da farsi problemi, di fronte ad un nuovo avvento di Trump, tornerebbe a bussargli alla porta creando un nuovo motivo di divisione a sinistra.
Ecco perché ora molti stanno a guardare. A sinistra sperano che qualche giudice lo azzoppi. Un vecchia storia che noi in Italia conosciamo a memoria. Solo che la politica non è mai scontata. Ecco perché quelli che guardano al ritorno di Trump con filosofia sono proprio i suoi avversari della sinistra radicale. A loro fa comodo ritrovare un nemico giurato.
«Se non ci si mette di mezzo qualche giudice - prevede Nicola Fratoianni - può vincere le primarie Repubblicane. Più difficile la corsa alla Casa Bianca. Il ritorno di Trump dimostra che al mondo di sicuro c'è solo la morte».
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