Votazioni a rischio Covid, slitta la fiducia alla Camera

Opposizioni all'attacco: la maggioranza venga a lavorare. Il ministro D'Incà: pericolo paralisi

Votazioni a rischio Covid, slitta la fiducia alla Camera

Il ritorno in grande stile del Covid fa ballare la maggioranza e cambia i calendari delle aule parlamentari.

Ieri il governo ha, come previsto, chiesto il voto di fiducia alla Camera sul Decreti Agosto. Ma la votazione non si terrà oggi, come era stato annunciato inizialmente e come accade d'abitudine, a 24 ore dalla richiesta del governo. È stato rinviato a lunedì, nella speranza che ne frattempo qualche altro deputato riemerga da quarantene e isolamenti fiduciari con un bel certificato di negatività al contagio. A ieri erano 28 gli assenti «forzati», e soprattutto nella maggioranza dopo che l'allegra combriccola dei parlamentari M5s si era ammassata in un tormentato summit politico alla presenza di un paio di contagiati. Certo, sono meno di quei quaranta assenti che hanno mandato a gambe all'aria la maggioranza sul numero legale la settimana passata, ma è proprio questa estrema volatilità dei numeri e imprevedibilità della diffusione del virus a preoccupare. «Chi può dire quanti parlamentari potrebbero essere costretti ad autoisolarsi di qui ad una settimana?», ci si chiede tra Montecitorio e Palazzo Madama. Mercoledì prossimo si dovrà votare la Nota di aggiornamento del bilancio, che richiede la maggioranza assoluta dei membri delle due Camere. E persino il presidente del Consiglio ha fatto capire di essere preoccupato, perché se quel numero non venisse raggiunto si bloccherebbe l'intero percorso della legge di bilancio. «Il Parlamento rischia di restare paralizzato», geme il ministro grillino ai i rapporti con il Parlamento D'Incà. Che però fa muro contro la soluzione più ragionevole, quella del voto a distanza (come succede già in molti parlamenti) avanzata dal dem Ceccanti e da più di un centinaio di parlamentari. «Si rischia un grave squilibrio: il governo, grazie alla maggiore informalità delle sue procedure, è in grado di continuare ad operare. Il Parlamento no». Ma il ministro D'Incà taglia corto: «Io sono contrario al voto a distanza».

L'opposizione fa la faccia feroce: altro che voto a distanza, tuona Salvini: «La maggioranza venga a lavorare, così risolve il problema». E Giorgia Meloni accusa: «Il racconto della maggioranza è falsato, il numero dei contagiati alla Camera è inferiore alle assenze registrate».

Poi, dietro le quinte, in verità il centrodestra dà una mano: ieri, pur protestando per lo slittamento del decreto, ha consentito di registrare come «in missione», e quindi non conteggiati ai fini del numero legale, gli assenti per Covid. E al Senato si fa capire che non ci saranno trabocchetti su uno snodo importante come la legge di Bilancio, Nadef inclusa.

C'è chi, tra i parlamentari più navigati, sospetta che diero l'allarme ci sia una «strategia della tensione alimentata dalla maggioranza» e mirata a spaventare quei parlamentari grillini malpancisti che, convinti che ormai la legislatura e (quel che più conta) il loro stipendio siano blindati, si prendono lo sfizio di disertare l'aula o di non votare per dispetto i provvedimenti giallorossi.

All'ultima prova di maggioranza, quando martedì alla Camera si è votato per recuperare lo scivolone sul numero legale, c'erano ben sedici deputati grillini che hanno fatto spallucce e sono rimasti in vacanza, assenti ingiustificati: un segnale che preoccupa Palazzo Chigi, ancor più del Covid.

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