Probabilmente non ha torto chi pensa che, in fondo, una guerra scoppi per motivi economici. Sovranità territoriale, mire espansionistiche e decine di altre motivazioni valgono, eccome. Ma sono gli interessi a muovere la maggioranza degli equilibri. E come possono far scoppiare un conflitto, in fondo, possono anche farlo concludere. Ed ecco che la Cina, dopo mesi di chiacchiere sostanzialmente a vuoto, può tornare a essere decisiva. Per diversi motivi.
Intanto i fatti. È in agenda da tempo la visita del leader Xi Jinping a Mosca per un vertice con Putin. E secondo indiscrezioni non ancora confermate, il blitz potrebbe essere già la prossima settimana. Il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov per ora non si sbilancia: «Al momento non ho nulla da dire su questo argomento. Di norma, gli annunci di visite ufficiali all'estero sono coordinati simultaneamente e di comune accordo tra le parti», precisazione dovuta, anche perché a Pechino non hanno gradito le invasioni di campo di Mosca che più volte ha tirato per la giacca Xi. Ma non è tutto. Perché secondo un'altra indiscrezione raccolta dal Wall Street Journal, Xi Jinping avrebbe l'intenzione di avere un incontro, probabilmente online, anche con il presidente ucraino Zelensky. «Lo abbiamo incoraggiato noi a sentire Zelensky», ha detto Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale Usa. Che i rapporti tra Cina e Russia siano solidi è noto a tutti e che il tri-nominato leader del Dragone voli a Mosca, tutto sommato non è una sorpresa. Che voglia avere un confronto anche con Zelensky invece, può essere un segnale forte.
Fino a questo momento, la Cina ha sguazzato nella sua ambiguità. Vicina a Mosca sì, ma non al punto da schierarsi apertamente a suo favore nel conflitto. Non solo per le pressioni degli Stati Uniti che più volte hanno intimato di non inviare armi, ma anche per puro calcolo strategico. Pechino sa bene che entrare di fatto in guerra significherebbe mettersi contro quei Paesi, proprio gli Usa in particolare, con cui vuole a tutti i costi riallacciare rapporti economici. E di più, assumere un ruolo di intermediario credibile e forte potrebbe accreditare il Dragone come soggetto solido a livello mondiale ritrovando così prestigio. Da una parte quindi, la Cina vuole favorire le proprie mire sull'economia globale. Dall'altra, non vuole farsi mettere i bastoni tra le ruote nel momento in cui saranno sue le mire espansionistiche, vedi Taiwan, a finire nel mirino Occidentale. D'altra parte, è innegabile che la Cina sia l'unico Paese in grado di affrontare la Russia in posizione di forza, vista la dipendenza economica di Mosca. E Xi è l'unico che può condizionare realmente le azioni di Putin. Nessuna opera di bene quindi, ma interessi concreti che porterebbero, comunque, a una potenziale svolta. Mentre Putin potrebbe partecipare al G20 di settembre in India e il suo alleato bielorusso Lukashenko è in Iran probabilmente per trattare l'acquisto di armi, in pochi credono realmente a una Cina portatrice di pace. Ma al momento si tratta dell'unica ipotesi di speranza a cui aggrapparsi.
Anche perché il conflitto continua, e duramente, soprattutto a Bakhmut. La città contesa tra gli assalitori mercenari della brigata Wagner e la resistenza ucraina, è ormai un cumulo di macerie con cadaveri di civili sparsi nelle strade. Scontri durissimi e centinaia di vittime ogni giorno. Ma un dettaglio rivelato dall'istituto americano per lo studio della guerra getta ulteriore apprensione sulla battaglia in città. Secondo il think tank infatti, il leader dei Wagner Prigozhin sarebbe stato volutamente abbandonato da Cremlino per fare in modo che lui e la sua brigata vengano annientati, facendogli perdere peso nell'establishment russo. Ipotesi credibile.
Non a caso Prigozhin da settimane è in polemica con Mosca e si lamenta con durezza, continuando a chiedere rifornimenti che continuano a non arrivare. Appesi agli umori di Putin e soci e alla mediazione della Cina. Davvero troppo poco per essere ottimisti.
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