La scena in cui è stata eliminato Mohammed Reza Zahedi, comandante in capo delle Forze Quds delle Guardie Rivoluzionarie Iraniane (Irgc) per il Libano e la Siria, con sei dei suoi, ieri è rimasto a lungo avvolto nella polvere dell'edificio bombardato chirurgicamente accanto al consolato iraniano a sua volta contiguo all'ambasciata: la polvere ha avvolto la bandiera iraniana e il ritratto del generale Qassem Suleimani, lo stratega fondatore della conquista mediorientale da parte iraniana, a sua volta eliminato nel 2020. Suleimani, raccontava fra l'altro il leader di Hamas e suo ex ministro degli esteri Mahmoud al Zahar, nel primo dei loro incontri gli portò 22 milioni di dollari. La prima tranche, fino al 7 ottobre. Zahedi è stato un leader fondamentale su quella stessa via, ovvero quella della distruzione di Israele tramite l'uso concentrico di eserciti di «proxy» ben allenati e ben armati e la conquista del Medio Oriente, prima di quella del mondo intero all'islamismo sciita. Così pensa l'Iran.
Zahedi era certamente il maggiore pilastro, dopo la morte di Suleimani, di questa strategia, diretto interlocutore di Nasrallah, ovvero degli Hezbollah, il braccio destro dell'Iran. Negli anni sono stati forniti passando per la Siria, altra pedina iraniana, circa 200mila missili; che ruolo diretto possa avere avuto Zahedi nella guerra del 7 ottobre è difficile dirlo, ma un generale agli ordini diretti di Khamenai e Raisi non può essere stato distante dall'affiliazione di Hamas, frequente ospite a Teheran, e dai continui rifornimenti di armi e di mezzi ad Hamas. L'Iran ha posto al centro della conquista del Medio Oriente l'erosione dell'esistenza stessa di Israele: nelle ultime settimane le visite a Teheran di Ismail Hanyeh sottolineano la comunanza strategica e il sostegno alle mostruosità del 7 di ottobre, come anche i missili piovuti su Eilat da milizie sempre armate dagli iraniani dall'Irak e dai Houti in Yemen.
Insomma l'accerchiamento ormai ventennale che va in parallelo alla costruzione dell'atomica, non poteva più restare senza risposta dopo che dal 7 ottobre Israele ha capito che lasciar prosperare il nemico può condurre a episodi irreparabili. Persino se è chiaro che in Siria l'Iran non può certo agire senza il permesso di Putin: del testo i due sono ormai solidi alleati anche in Ucraina. L'Iran è il maggior nemico strategico di Israele, e qui, anche se Israele non lo ammette, è stato affrontato come tale, stando attenti a non colpire l'ambasciata per non violare il diritto internazionale.
Data la stretta sorveglianza su Gaza, è ovvio che il training per l'attacco del 7 ottobre è stato fatto all'estero, la fornitura di missili di lunga gittata Fajr e Syrian M302 oltre che altre armi come le granate che raggiungono i 2mila gradi di temperatura (quelle usate usante la Nukba per bruciare intere famiglie dentro le case) sono di fabbricazione iraniana.
Yemen, Siria, Libano, Gaza, tutti sono riforniti di armi iraniane contro Israele: la strategia è quella di scavalcare il potere militare di Israele e avventarsi direttamente col terrorismo sulla società. L'Iran ha anche un largo, pericoloso accesso all'Autonomia Palestinese, dove finanzia e arma più terroristi possibile e prepara un'invasione come da Gaza.
Israele dunque, se ha compiuto l'attacco, colpendo il generale e sei dei suoi sottoposti ha voluto rendere chiaro che dopo il 7 ottobre le cose sono cambiate: «Noi affrontiamo una guerra su più fronti e combattiamo da ogni parte per spiegare a chiunque che combatte contro di noi che il prezzo è alto».
Così, senza rivendicazione, il ministro della Difesa Gallant ha dichiarato. Le minacce di vendetta dell'Iran hanno creato uno stato di allerta sia al Nord, al confine con il Libano, che nelle ambasciate di Israele nel mondo.
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