Zingaretti adesso ha paura. S'inventa di tutto per restare

Si arrende al diktat M5s e schiera il Pd sul "Sì" al taglio dei seggi: l'ultima mossa per salvare la sua segreteria

Zingaretti adesso ha paura. S'inventa di tutto per restare

Nicola Zingaretti schiera il Pd nel fronte del «Sì» al referendum sul taglio dei parlamentari. Ma è una mossa (sofferta) per salvare la sua segreteria. Il partito si unisce intorno al leader: la direzione vota compatta (188 favorevoli, 13 contrari e 8 astenuti) il via libera al «Sì» al referendum. Approvata all'unanimità, con 213 favorevoli e un solo astenuto, anche la relazione del segretario dei democratici.

I numeri raccontano di un trionfo politico per Zingaretti. Ma dalla direzione di ieri esce una leadership indebolita. Il segretario si aggrappa a Luciano Violante (che suggerisce il superamento del bicameralismo perfetto) per spiegare le ragioni di una resa al diktat grillino. Un doppio voto telematico chiude una settimana di tormenti e incertezze al Nazareno. Zingaretti teme di perdere la guida del Partito dopo la tornata elettorale del 20 e 21 settembre. E dunque, prova a scaricare le responsabilità sull'alleato dei Cinque stelle: «In molti territori l'alleanza non si è voluta fare e non per nostre responsabilità. Alle regionali i candidati del Pd sono presenti ovunque e ogni altra candidatura è velleitaria: nessun altro candidato ha possibilità di battere le destre. L'elettorato diviso perde, se si unisce può vincere». Intravede una Caporetto politica. E si accontenta del gol della bandiera: «Ho letto che a destra c'è chi, sognando, parla di un 7-0» alle regionali. Il Pd lo impedirà. Minaccia lo strappo con il governo Conte «noi siamo al governo finché questo governo fa cose utili. Perché se ci fossero troppi nodi aperti la situazione della Repubblica dovesse peggiorare il nostro impegno sarebbe inutile» - ma poi frena «una vittoria dei No al referendum costituzionale creerebbe senz'altro problemi alla maggioranza ma non sono affatto convinto che cadrebbe il governo». Invoca il voto utile (disgiunto) alle Regionali per aiutare i candidati del Pd. Ma in fondo vuole aiutare se stesso. Spera nei fondi del Recovery fund per tenere in vita esecutivo e alleanza.

Il segretario del Pd sembra entrato in vicolo cieco: un pezzo del partito (da Cesare Damiano a Luigi Zanda) non si rassegna alla morte grillina. Zingaretti non può forzare. Rischia di ammettere il fallimento della propria linea politica. Ecco allora che si inventa un «Sì» al referendum su due condizioni: nuova legge elettorale e superamento del bicameralismo perfetto. «Faccio mia la proposta di Violante di accompagnare la campagna per il Sì al referendum con una raccolta di firme per il bicameralismo differenziato. Sarà un modo, pur con scelte diverse che ci saranno, di unire il Pd», annuncia il segretario. E poi chiede di accelerare sulla legge elettorale: «Alla Camera si è già riaperto il cantiere su una legge proporzionale e la proposta di legge Fornaro».

A chi gli contesta una svolta populista, Zingaretti ribatte: «Mi pare generico e anche un po' strumentale prevedere che dalla vittoria del Si scaturirebbe un vento inarrestabile di demagogia, populismo e anti parlamentarismo. Un pericolo per la democrazia. Non credo sia così». E soprattutto smonta la narrazione grillina sulla riduzione dei costi della politica: «Il Sì non deve essere motivato dai risparmi che esso comporterebbe per i conti pubblici, quanto dal percorso di riforme che esso aprirebbe».

Con la mossa sulle riforme Zingaretti prova ad allungare la vita alla propria leadership. Che il ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia blinda: «La segreteria di Zingaretti è salda». Ma altro non è che una conferma della debolezza.

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