«Non staremo sotto Palazzo Chigi con il fucile spianato. Ma abbiamo chiesto una svolta e delle scelte di priorità al governo: se Conte porta a casa dei risultati bene, se no tireremo le somme». Nicola Zingaretti spiega la linea post-elezioni ai suoi, e lancia un avvertimento al premier.
Al Nazareno non sono piaciute le ovattate e circonvolute risposte arrivate in queste ore da Giuseppe Conte: «Il presidente del Consiglio è terrorizzato dai 5 Stelle e dalla loro implosione, e pensa che l'immobilismo sia l'unica ricetta per evitare il caos», spiegano al Nazareno. Ma il Pd non ci starà, assicurano: «Noi abbiamo vinto le elezioni ma non gli abbiamo chiesto nulla: né posti, né rimpasti né galloni. Gli abbiamo chiesto una sola cosa: risultati». Sulla legge elettorale, sulle riforme, sul Recovery Plan e soprattutto sul Mes, il finanziamento straordinario europeo per le spese sanitarie (e affini) che è l'unico rubinetto veramente aperto per l'Italia di qui ai prossimi mesi, e di cui il nostro paese ha una necessità pressoché assoluta. Ma siccome nei Cinque Stelle fanno le bizze e accreditano leggende esoteriche sul Mes e le sue «condizionalità» (assai inferiori a quelle del benemerito Recovery Plan), Conte si rifiuta di muovere foglia e continua ad arrampicarsi sugli specchi per evitare di dire sì al prestito (a tasso zero) europeo, che come il ministro della Sanità Speranza gli ha spiegato in tutte le salse ci serve più del pane. Ancora ieri, in una intervista alla Stampa, Conte si è trincerato dietro una raffica di nonsense per evitare di prendere posizione. E nel Pd si sono assai seccati: niente Mes, niente riforma della legge elettorale (i veti incrociati nella maggioranza hanno bloccato tutto, e non si vede al momento via d'uscita dall'impasse), niente grande piano di investimenti per giustificare l'utilizzo dei fondi europei. L'unico spiraglio alle richieste avanzate dal Pd sembra quello sulla (cauta) modifica dei decreti sicurezza, che però è anch'essa rinviata di un paio di settimane: Zingaretti aveva chiesto che il testo fosse varato al «primo Consiglio dei ministri», ma si attenderà di scavallare ottobre per evitare il rischio che la Lega possa indire, tramite cinque Consigli regionali, un referendum abrogativo della riforma, che si terrebbe l'anno prossimo.
Il Pd, insomma, rischia di non incassare né il rimpasto né un cambiamento di agenda sulle sue priorità. Per questo Zingaretti inizia a lanciare avvertimenti al premier: «Capiamo le sue paure, ma Conte non può far finta di niente: trovare una maggioranza sul Mes o sulla legge elettorale sono problemi suoi. È lui il premier: gli sia chiaro che da ora in avanti sarà monitorato, quindi è bene che si muova», dicono i suoi. Per scuotere la paralisi di Palazzo Chigi, Zingaretti annuncia che - da governatore del Lazio - sta per presentare un piano sanitario sull'utilizzo del Mes. Altre regioni (e non solo a guida centrosinistra) sono pronte a seguire il suo esempio. I ministri del Pd sono precettati per fare pressing sul premier: «Basta alibi e rinvii, il Mes è necessario per la salute degli italiani», attacca il titolare del Mezzogiorno Provenzano.
Dentro il Pd l'ala riformista incalza, affinché il segretario smetta di giustificare l'immobilismo paralizzato del governo su tutte le scelte complesse: «Dobbiamo smettere di essere solo la rotella che serve a raddrizzare il cammino, e diventare il motore di una direzione politica coraggiosa, guidando il cambiamento», incita, con grande ottimismo della volontà, l'ex ministro Valeria Fedeli.
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