E se dopo il Campidoglio toccasse alla Regione Lazio? Per ora sono rumors , un vociare sempre più frenetico: una corda che sembra stringersi attorno al feudo di Nicola Zingaretti. Già da giorni Francesco Storace sente puzza di bruciato: vuole sapere perché mesi fa è stato revocato alla coop Capodarco l'appalto da 61 milioni per la gestione del Recup, il sistema per la gestione delle prenotazioni sanitarie. Vuole capire se quella riunione del 5 maggio, pochi giorni prima che scadesse il bando per il nuovo appalto, in una riunione nell'ufficio del potentissimo Salvatore Buzzi, si parlasse proprio di quell'appalto. Vuole sapere se dietro la sospensione di tutte le gare si nasconda il desiderio di favorire le attuali società assegnatarie, che beneficiano del regime di proroga.
Dubbi. Per il momento solo dubbi. Che aumenteranno dopo la puntata di Report in onda stasera su Rai3, nel corso della quale andrà in onda un'inchiesta di Giorgio Mottola sui bandi per i dirigenti regionali. Un po' troppo prevedibili. «Tutti gli ultimi direttori generali - recita l'anticipazione del servizio - sono stati scelti dopo rigorosissime selezioni, il cui esito era però stato previsto da qualcuno con molti mesi di anticipo, in alcuni casi prima ancora che venisse indetto il bando. Attraverso questi concorsi sono stati nominati nella Regione guidata da Zingaretti finora ben 63 dirigenti esterni, quasi il doppio di quelli dell'epoca Polverini». Naturalmente i beneficiati non sono scelti a caso: «Tra i vincitori e i nominati da Zingaretti ci sono anche dirigenti del Pd, familiari di politici illustri, condannati e rinviati a giudizio. Tutti a libro paga della Regione con stipendi che oscillano tra i 100mila e i 180mila euro all'anno».
E poi c'è il caso di Paola Varvazzo, già assessore alle Politiche sociali della giunta di centrosinistra dimessasi nell'aprile del 2013 a seguito delle indagini sul marito Marzio Micucci, funzionario dell'ufficio delle dogane accusato di aver intascato una tangente. La Varvazzo secondo un'informativa dei Ros nei mesi precedenti l'incarico alla Pisana (come precisa la Regione) avrebbe fornito documenti utili a Buzzi per screditare il giudice del Tar Linda Sandulli che aveva sospeso un appalto vinto dalle coop di Buzzi in una struttura la cui manutenzione era curata da una società da lei partecipata. Classico caso di conflitto d'interessi.
E Ignazio Marino? Il sindaco nella tempesta non abbandona la nave capitolina che affonda e si inventa alla bisogna una rotazione dei dirigenti «a cominciare dagli incarichi apicali di tutte le strutture». Una decisione che non sposta di una virgola le polemiche, soprattutto sulle contestate donazioni di Buzzi per la sua campagna elettorale. Su questo, il sindaco balbetta delle giustificazioni: «Buzzi? Non sapevo se fosse un criminale, non sono un investigatore».
Il valzer della disperazione mentre l'orchestrina suona e la poltrona vacilla. Il capogruppo di Forza Italia Davide Bordoni propone l'autoscioglimento del Consiglio comunale per «evitare l'onta dello scioglimento per infiltrazioni mafiose». Invoca le dimissioni anche il M5S capitolino, che ha tappato le orecchie con la cera per non sentire le sirene del consigliere radicale eletto nella lista civica per Marino Riccardo Magi, che ha offerto loro la vicepresidenza dell'assemblea capitolina per sostenere Marino.
«Siamo pronti a collaborare sulle questioni principali che interessano ai cittadini ma non a entrare in giunta», dice conciliante il capogruppo grillino Marcello De Vito. Più duri Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio: «Per il bene della città e del Paese, Marino faccia un passo indietro». Quello che pensano tutti, a Roma e in Italia.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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